COMMIATO
All’ora
solita venne il figlio
Che andava
a dar forma alla resina.
Acconciò
tra spalle e testiera il cuscino
Ti
rimboccò e dette l’arrivederci.
Accanto
guardasti quella figlia strana
Dormiente
nel suo letto – una spina d’amore:
La
penultima nata di sette fioriture.
Non seppe.
Non s’accorse di quello sguardo
Lieve che
l’accarezzava.
Aprile ti
chiamò con voce partigiana
I piccoli
occhi li volgesti fuori dai vetri:
Monte
Ofelio era là imponente e onesto.
Un vento
giovane scherzava con gli ulivi.
D’improvviso
spalancò quel vento la finestra
E ti
sollevò leggera oltre gli ulivi.
Oltre il
monte. Oltre la conta del Tempo.
Dove
l’argomento zittisce
All’uscio
del Dio invocato.
(8
aprile 1991)
*
INFANZIA
a Osvaldo
A quella
latitudine passammo
Come carta
d’ingiallita stampa
Fu facile
al vento portarci
Solo gli
uccelli ci seguivano.
*
ALLA PORTA
Bussò
ripetutamente
Ma nessuno
gli rispose
Allora si
posò in terra
E decise
di aspettarsi.
*
APPARENDO
GIORNO
Canta
gallo canta canta!
La pietà
d’ammaestrati antri
Alle
tenebre è già piegata.
Nelle
stanze del risveglio
Indomàte
porte sono
Agli
stipiti legate.
(Avremo
noi sferze di fuoco?
Il
coraggio allattato
Al seno
della verità?).
Varcando
di porta in porta
Mutiamo
verbo e scrittura
Come i
fiumi alla foce.
*
A POCO A
POCO
A poco a
poco degradammo
A
venditori d'immagini
Ad alberi
senza radici.
A poco a
poco dimenticammo
La voce
delle promesse
L’amore
che comprammo a rate.
A poco a
poco lacrimammo
Come i
petali la rugiada
Come
pioggia sui panni stesi.
A poco a
poco – come la sera
Avvolge la
cattedrale dell’anima.
*
DE
PROFUNDIS
O
moltitudine sommersa
Abitatori
di pì greco
Deposta
l’umana sembianza
Concime
divenite d’orto
Mèmori
delle nostre bocche.
*
DI SERA
Cuore mio!
Naufrago
Su
quest’isola d’ossa
Fatta e
carne: sai tu
Giudicar
misure?
Sai tu di
questo scoglio
I confini?
*
A PRIMO
LEVI
Ma non sapevamo, Signore,
quanto è difficile essere liberi.
(D. M. Turoldo)
L’ippocastano
di corso Re Umberto
Non l’ho
dimenticato – poeta –
Vecchio e
senza vergogna di sbocciare
Fra le
lamiere delle automobili.
Tu lo
spiavi da dietro la finestra
E stupivi
al cambio di stagione
Che
cacciasse frutti
Lungo il
filo spinato dei rami.
Quasi
miniera o cava abbandonata
Ad ora
incerta ti chiamavi
Per
sterrare dalla memoria
La ragione
delle assurde cose:
Quell’endemico
tramandarsi
Di vinti e
vincitori
Oppressi e oppressori
Vittime e carnefici.
Sì. Lo
ricordo l’ippocastano – poeta.
Con le mie
pupille l’ho veduto
Piantato
nel cemento
A ridosso
dei binari del tram.
Ma ricordo
di un aprile ancora
E una
scalinata inghiottita dall’oblìo
Che più nessuno
sale. Più nessuno
Alla porta
del perché.
(1997)
*
MEMORIE DI
UN VINCITORE
Fu una
mossa improvvisa
L’eco d’un
sodalizio di muscoli.
Nel
cerchio della storia feci il mio ingresso
Di popolo
e suoni il tripudio poi.
Ma la
notte salì lasciando all’alba
(Che in un
giorno ne portò altre ancora).
Passò
l’allegrezza e i musicanti
Uno alla
volta andarono via.
Su un
trono di paglia ora narro alle mosche
Nelle mani
stringendo il trofeo.
Con me
un’ombra indica l’assenza
E un
brivido chiama il nome che porto.
*
IN SEGRETO
Signore –
ho pena
Dei miei
fratelli umani.
Ho pena
dei loro acerbi convincimenti
Del loro
essere nani
E vedere
sé giganti.
Ho pena
della loro finitudine
E del non
crederci loro abbastanza.
Ho pena di
me
Che troppo
li somiglio.
*
LA VOLPE
Come se
non fosse
O
secchezza di pozzo
Vuoto
Lettera
morta
Il sangue
della volpe per inganno di tagliola.
Con la
ferita aperta e la zampa in congedo
Dolorante
s’affretta alla tana
Nell’anfratto:
Là
Celato da
una coltre di foglie il pertugio
Scova e
ratta s’ammusa in quella viscera
E del
fogliame appassito lo scricchìo
Al sordo
silenzio tutt’attorno.
*
ET CETERA
Oltrepassò
il cancello
E percorse
il lungo viale alberato
(Tra i
rami filtrava
La canzone
mattutina).
In fondo
al viale era una casa incustodita
E da una
finestra qualcuno
L’osservò
giungere all’ingresso.
Salì le
ripide scale
Entrò in
una stanza
S’avvicinò
alla finestra
E guardò
fuori: qualcuno
Oltrepassava
il cancello
E
percorreva il lungo viale alberato
(Tra i
rami filtrava
Il canto
di mezzogiorno).
Giunto
all’ingresso
Salì le
ripide scale
Entrò in
una stanza
S’avvicinò
alla finestra
E guardò
fuori: qualcuno
Oltrepassava
il cancello
E
percorreva il lungo viale alberato
(Tra i
rami filtrava
Il coro
delle stelle).
……
*
DIMMI
AMORE COME TI CHIAMI?
Questo
troppo cuore che mi sboccia
– Che
torna a sentire la primavera
E lungo il
sentiero trova del mosaico
La tessera
mancante – non comprendo.
Dimmi amore come ti chiami?
Con la
sera si traveste da buffone
Divertendo
l’umanità della strada
E i colori
dell’arcobaleno si mescolano
Alla
stanchezza d’ogni animale.
Dimmi amore come ti chiami?
Ruggendo
alle catene degli anni
Si è fatto
marinaio capace
E
spiegando al vento le malconce vele
La rotta
mi segna il fuoco e il sogno.
Dimmi amore come ti chiami?
– È
tutti i nomi il nome che chiedi.
*
QUI
No. Non
ora. Andate pure.
Incominciatevi
voi per la ferrovia
Prima che
l’ultimo treno s’avvii.
Io devo
ancora innaffiare le piante
Portare la
ciotola al cane
Mettere a
posto la dispensa.
Ho ancora
da scrivere lettere d’amore
– Una
certamente può bastare
Se solo
fossi dalle parole obbedito.
Ho da
ricevere ospiti – anche. Non tutti
Sanno le
cose che non ho fatto
Nel tempo
in cui ciò avvenne.
A nulla
vale chiudere la porta
Se il
cieco passante non distingue
Il mio
cappello nuovo alla partenza.
*
LE PAROLE
CHE HO DETTO
Le parole
che ho detto
È capitato
a volte d’incontrarle
A distanza
di tempo.
Stavano
alcune nell’indifferenza
A bere al
tavolino d’un bar.
O nude
come corpi – altre
Mendicavano
un destino
Sotto i
portici della stazione.
Pure le ho
sorprese a rincorrere lucertole:
Provai a
chiamarle
Ma si
nascosero dietro una siepe
Con
sollievo delle loro prede.
Allora
capii che bisogna lasciarle andare
Le parole.
Che una
volta annunciate
Appartengono
a se stesse: ipotesi
Che non
dimostrano più
Il teorema
delle nostre illusioni: tracce
Di ciò che
solo sapemmo essere.
*
CARTOLINA
Abbiamo
indagato l’infinito
Accorciato
il tempo e lo spazio
Nell’officina
dell’inquietudine.
Fra i
vortici dei pianeti si dilata
Fin dentro
i pori del cosmo
La pupilla
dell’Io terrestre.
Avvolti da
una sottile foschia
Nell’allegoria
dei passi
Ancora
portiamo i morti a spalla.