COLONÌA
METRÒM*
Colonìa
Metròm è una virgola
una breve
pausa
nel
discorso degli eventi
per dire
che i sette arcangeli
sono
passati di qua senza fermarsi
per troppa
fretta di procedere.
È una
zattera ancorata al vento
con le
speranze di Mitriţă e Viorica
e altri
seguenti
annotate
con bella grafia
nel
registro delle presenze.
Su quel margine d’argilla
ho portato
i miei passi
in un
tardo meriggio d’estate: furtivamente
ho cercato
con gli occhi
la bambina
con la chiave appesa al collo.
L’ho
cercata dietro gli angoli rattoppati
tra i
ciuffi dell’erba magra
nelle
aiuole abbandonate
ma la
bambina con la chiave appesa al collo
non l’ho
veduta.
Neppure
nella penombra delle scale
l’ho
scorsa
che ha
salito certamente
e sceso
milioni di volte
nell’intreccio
dei giorni
come un
ragno costruendo la sua tela.
Nessuno
neppure a guardare lo spicchio di cielo
sognandosi
donna.
È andata
via – dicono – probabilmente
come tanti
di buon mattino
perché la
notte qui
è più nera
che altrove
e quasi
son partiti tutti
cercando
candele ovunque.
Luminosissime
candele – dicono –
da
piantare sulle mute stelle.
Braşov, 19 agosto 2009
*Colonìa Metròm è un
sobborgo popolare nella zona industriale di Braşov.
Oggi, la gran parte di
quelle fabbriche sono ormai chiuse da tempo.
*
PIAŢA
SFATULUI
Non
importano le coordinate
piaţa
Sfatului è tra la terra e il cielo
sospesa a
un filo d’irrealtà
e quasi
t’aspetti che parli la tua lingua.
Il piombo
dell’esistenza
qui
diviene materia nobile – plausibile.
Anche
l’anima si evolve nella parola
rara della
felicità.
Braşov, 24 agosto 2009
*
L'OCEANO
CHE E' IN TE
Con il mio
cuore navigante
l’oceano
che è in te attraverso
ignaro
dell’abisso.
Quando la
burrasca costringe all’àncora
al fischio
del treno non ho mai ceduto.
È questo
che chiamano amore?
*
IL MONDO
DI TE NON SA
Il
mondo di te non sa – anima mia –
che del
mondo sei
non sa del
tuo nome la grafia
il colore
dei capelli
né la
direzione del tuo cammino
ma se
dimenticassi
anche uno
solo dei tuoi respiri
fenderebbe
la sua corteccia
una
profonda
sanguinante
ferita.
15 febbraio 2010
*
VOCIANTI
A questo
gran vociare la mercanzia
a questo
incantamento dell’ascoltatore
con le
parole assoldate come puttane
non altra
misura che il silenzio…
guardarci
negli occhi
ove
s’annidano certe le promesse
e la
testimonianza come di marmo scritta
dove la
notte è notte
la luce tu
vedi che è luce
e la
lingua tace come sconfitta
chiusa nella
gabbia dei denti
e quello
che accade senti
come
d’ombre una dimenticanza.
*
CI
VOLTIAMO A UNA VOCE
Ci voltiamo a una voce
o ad altro
che le somigli
come il
sibilo del vento
le note di
un violino
le grida
di una gabbiana
alla luce
dell’alba.
Ci voltiamo a una voce
per
poterci fermare
esaminare
la posizione
misurare
la nostalgia
di
quell’ultima piana
col
metronomo del cuore.
Ci voltiamo a una voce
per non
sentirci soli
incrociare
lo sguardo
distratto
del passante
convincendoci
la mente
che quella
è la strada.
Ci voltiamo a una voce
lo stesso
senza udirla
(o
estraneo a noi quel timbro)
quel gesto
come di natura
sperandoci
alle spalle
l’incitamento
di Dio.
*
IL COREUTA
DI ARGO
La scena
non è più la stessa.
Un tempo
fummo folla comunità
cantori
necessari di quella spaziosità concessa.
E mai
mancava la sottolineatura
perché
tutti capissero
quel che
la vicenda narrasse
– fosse
incesto tradimento o sepoltura.
Vedili
ora: un manipolo attrezzati
d’improvvisati
recitanti – fondali meccanizzati
microfoni
altoparlanti –
sullo
scenico palco smisuratamente
persi
nello
spazio di quel perimetro. Li vedi
come
cercare nel vuoto
le battute
da bocca a bocca
saltellando
come rospi di vetro.
Più non
partecipiamo alla rappresentazione.
Non più
preghiera. Appartenenza.
Non più il
nostro intercalare
s’ode
costante
quell’intermittenza
nel dialogo
rassicurante
quell’intromissione…
breve
della
coscienza.
*
L'ANIMALE
Vagava fra
ciuffi d’erba
con il
sole rovente
che gli
puntava addosso.
A una
pozza si fermò.
Le zampe
tremanti
per il
corpo grasso.
Un fruscio
in
quell’istante lo ammonì.
Ristette
all’ascolto
(chi
poteva sapere
chi
conosceva – dunque –
l’accadimento?)
scisso tra
l’insaziato bere
e la mossa
esangue
dell’allontanamento.
*
COME LA
PIETRA
Come la
pietra…
compatta
immutabile
fedele
dov’è posta
singolare
a se stessa
non
generante
levigata
di malinconie
odio
inutili
promesse
che
dissepolta
è
rivelatrice di passi
humus
di fossili
ronzii testimonianza
come la
pietra…
non manco
di provare
la mia
esistenza.
*
DALL'ESILIO
Ci stiamo
abituando a questo luogo.
Per nulla
l’oscillare ci stupisce
dalla luce
alla notte come il mare
né la
malastagione né lo strazio della terra
per lo
sbadiglio delle sue viscere.
Ci stiamo
abituando a noi stessi
alle
nostre veglie ai nostri sonni
al
biasimato chiacchiericcio
al dolore
di testa come alla zoppìa.
Né il muro
ormai più c’infastidisce
che
dell’orizzonte sbarra il cammino
e da questa
corte stipata di sguardi
vedere al
di là proibisce.
*
AI
SAPIENTI
Spiacente
– signori –
non credo
ai luccicanti proclami
al
linguaggio sintattico
al
pensiero colto
di chi non
ha mai bestemmiato.
Smettete
di dosso le vesti bianche
le mani
adunche a scavare la tana
gli occhi
lacrimosi dalla polvere.
Innominato
sorga il vostro giudizio
dall’incanto
primitivo
e di bocca
emettete suoni
articolando
fonemi viscerali:
barriti…latrati…acuti
cinguettii.
Solo
allora potrò credere
curvo dei
miei miraggi
ciò che
direte con lingue di tufo.
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