sabato 30 novembre 2013

PODBRDO

Le pietre hanno veduto.
Hanno ascoltato. Così non fosse
Perché zittire la bestemmia
Al calpestìo delle pedule?
Perché arroventarsi al sole
Consumarsi all’acqua?
Per testimonia della traccia?
Perché durare?

1998


(da: Formicaio barocco - 2004)




venerdì 22 novembre 2013

D'aggettivare non è più tempo
con inutili complementi da réclame:
dietro la sua ombra
è sufficiente nominarla la cosa
prima dell'agire badando
perché la mano
quando ad altra poi s'intreccia
come serpi figurano
e dire non sapremo
se è lotta o amore.

(inedito)

giovedì 14 novembre 2013

“Avere il coraggio di rivelare la propria soggettività e il proprio animo fino ai suoi anfratti più oscuri, le paure e le aspirazioni più intime - questa è poesia”.


Marin Sorescu (Bulzești, 29 februarie 1936  - Bucarest, 8 decembrie 1996)




Marin Sorescu



lunedì 11 novembre 2013

SII TERRA

Catturami se non sai darmi ascolto
se t’è estranea la vampa del desiderio.

Lègami come un animale sottratto al suo errare
e recidimi la carne e il cuore strappalo
nelle tue mani addormentalo
come un bambino con il suo capriccio.

Distenditi dunque come una vigna
su quello scasso formatosi in petto
e offriti a me non più carnefice
ma consolatrice.

Sii terra. Buona e feconda tu sia terra
in ogni fremito del mio corpo
io ne sarò semenza e nei tuoi solchi
mi disperderò.

I segreti tutti li schiuderemo
degli amanti.



(da: Vocianti - 2010)


domenica 10 novembre 2013

Nina Cassian

C'è modo e modo di sparire
(poesie 1945-2007)

A cura di Ottavio Fatica
Traduzione di Anita Natascia Bernacchia, Ottavio Fatica
2013, pp. 301

isbn: 9788845928239

Letteratura romena, Letteratura inglese





Dal risvolto di copertina

Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brâncusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l'esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese –, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell'odierno panorama poetico internazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da Mandel'štam a Cvetaeva, da Apollinaire a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily Dickinson, «sublime sorella», o anche più indietro, all'amoroso furor saf­fico. Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso – e nudo, sempre, e sempre seducente. Si passa dalle punte epigrammatiche avvelenate ai voli pindarici sulle ali d'organo di un Bach – non per niente la Cassian compone musica: e dipinge, disegna, illustra libri anche per l'infanzia, spesso scritti da lei –, e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci riguardano da vicino, «sconvenientemente». 


martedì 5 novembre 2013

Un pregiudizio l’ "io" in poesia, caro Aldo Nove?

Iannozzi Giuseppe
Giusto un pregiudizio l’io. C’è modo e modo d’adoperarlo, uno sbagliato e uno invece necessario non fosse altro che per far dispetto a dio, cioè al nostro io; e però a ben guardare, a destra e a sinistra, in alto e in basso, dio non c’è e se sì si fa gli affari suoi, la qual cosa dovrebbe rendercelo almeno almeno un cincinnino simpatico.

Caro Aldo Nove, se vogliamo sputare in faccia all’io, bene, facciamolo e buttiamo nel cesso il 99,9% della poesia che sin dalla notte dei tempi è stata scritta per “noi” posteri e teniamoci un ridicolo 0,1% senza io. Potremmo farlo, certo che sì, gettare nell’oblio tutta la poesia dall’anno Zero a “noi”, e ci rimarrebbe in mano un pugno di mosche, nemmeno bianche: solo delle mosche, di quelle che stanno sui pesci vecchi di almeno tre giorni. Mosche ben pasciute con occhi enormi, mosche che presto sposteranno la loro luciferina anima verso qualche cadavere fresco, ancora da seppellire in terra (s)consacrata, con su uno di quegli avelli tanto cari al Foscolo.

E però io a fare il becchino non sono buono, e a dirla tutta non mi riesce granché bene neanche la parte d’improvvisarmi prete, indi per cui lascio a te, caro Aldo, il compito di seppellire il 99,9% della poesia dall’anno Zero a “noi”. Vedi un po’ tu te dove scavare le fosse. Sì, certo, dovrai scavare per un’eternità o forse anche di più, ma alla fine, alla fine avrai la tua bella soddisfazione d’aver seppellito il 99,9% della poesia che un io ce l’aveva; e alla fine, molto alla fine, la ricompensa di trovarti in terra marziana, arida, morta, vuota. Ci sarai però tu te, con il tuo io dimenticato, ci sarà nella tua testa il “tuo” amato 0,1% di poesia, quello che milioni d’anni fa decidesti di salvare per dirlo valido, e chissà che te ne farai, e chissà se esso sarà per te una minima consolazione o una suprema condanna.

(Iannozzi Giuseppe)