sabato 21 dicembre 2013

SPECIALE GRUPPO 63

Nel 1963 nasce a Palermo il Gruppo 63, movimento letterario definito di neoavanguardia ispirato alla teoria dello strutturalismo e critico nei confronti della letteratura classica e del romanzo neorealista.

http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-12c6465e-c327-4318-8eeb-dc95a9ecde04.html#p=

mercoledì 18 dicembre 2013

NON CHIEDERMI COS'E' L'AMORE

                                                  (a E.)




Chiedimi – fragile amica –
Della genìa delle costellazioni
Delle preghiere notturne dei cammelli.

Chiedimi degli abissi o delle maree
Dei giorni pari e dei giorni dispari.



Chiedimi dello zero assoluto
Delle rotte inesistenti
Del tintinnìo dei lupini secchi.


Chiedimi dei monsoni
Delle piogge acide
Della bora di Nord-Est.


Chiedimi di ciò che accadrà
O che potrebbe accadere


Ma non chiedermi cos’è l’amore.
Solo posso dirti: taci!

                        
(da Formicaio barocco - 2004)





NU MĂ ÎNTREBA CE ESTE DRAGOSTEA


Întreabă-mă - gingaşǎ prietenǎ -
Despre originea constelaţiilor
Despre rugăciunile nocturne ale cǎmilelor.

Intreabǎ-mǎ despre abisuri sau maree
Despre zile pare şi zile impare.

Intreabǎ-mǎ despre zero absolut

Despre drumuri inexistente
Despre clinchetul lupinilor uscaţi.


Intreabǎ-mǎ despre musoni
Despre ploile acide
Despre vântul de nord-est.


Întreabǎ-mǎ ce se va întâmpla
Sau ce s-ar putea întâmpla

Dar nu mǎ ȋntreba ce este dragostea.
Pot doar sǎ-ţi spun: taci.


(Traduzione dal romeno di Alina Breje)

sabato 7 dicembre 2013

A PRIMO LEVI

                                                    Mais nous ne savions pas, Seigneur, 
                                                    combien il est difficile d'être libre.
                                                                   (D. M. Turoldo)



Le marronnier du Cours Roi Umberto
Je ne l'ai pas oublié - poète -
Vieux et sans honte de se dresser
Entre les carosseries des automobiles.

Tu l'épiais derrière la fenêtre  

Et t'étonnais au changement de saison
Qu'il se mette à porter des fruits
Le long du barbelé des branches.

Comme dans une mine ou carrière abandonnée

À une heure incertaine tu t'appellais 
Pour sonder les molécules de la mémoire
Et comprendre la raison des choses absurdes:

Cet endémique tradition

De vaincus et vainqueurs
                       D'opprimés et d'oppresseurs
                                     De victimes et de bourreaux.

Oui. Je me souviens du marronnier - poète.

De mes yeux je l'ai vu
Plantè dans le ciment
Tout près des rails du tram.

Mais je me souviens d'un avril encore

Et d'une volée de marches engloutie par l'oubli
Que plus personne ne gravit
Pour frapper à la porte du pourquoi.


(de Fourmilière baroque, 2004)

Traduction inédite de François Rastier



[NDT: Giovanni Abbate, né en 1963, a passé sa jeunesse à Turin. Alors que les poèmes de Primo Levi, recueillis dans Ad ora incerta, Garzanti, 1987, sont injustement négligés, il tient à lui reconnaître ici le titre de poète.]

lunedì 2 dicembre 2013

L'ESPERIENZA DELLA POESIA


da: Piero Boitani, Letteratura e verità - Edizioni Studium (2013); pagg.72 - 76


 Le esperienze che più si avvicinano a quella della poesia sono quelle dell'incontro con l'altro: l'amicizia e l'amore. L'incontro con l'altro può essere un istante casuale, un momento di tutti i giorni, un mondo che si apre verso una persona sconosciuta in modo del tutto imprevisto, come in A une passante di Baudelaire, dove la "bellezza fuggitiva" che compare all'improvviso nel clamore della strada costituisce "una sorta di promessa che ci viene da fuori, di una pienezza possibile". Quella promessa viene mantenuta nell'amicizia [...]. Il fatto è che secondo tale interpretazione si vuole bene all'amico perché tale bene viene sentito come nostro: nel rapporto d'amicizia, insomma, riconquistiamo, ri-conosciamo, attraverso l'altro, noi stessi. In modo simile, nell'amore (Fedro e Simposio indicano la via alla seconda delle Elegie Duinesi) si attua una ricomposizione in unità, che mantiene però la differenza. Nell'atto d'amore c'è un momento in cui le nostre energie, i nostri desideri e bisogni sono come placati: "una sospensione dell'essere come se ogni cosa fosse al suo posto". Ora, "gli amanti potrebbero - secondo Rilke - dire meraviglie", quasi sentissero qualcosa del nostro essere originario, l'Adamo primigenio che è in noi, "quello che se ne stava beato con tutte le cose che erano, ed egli le poteva nominare". Ma viene, nell'Elegia stessa, il tempo dell'interrogazione, dopo l'appagamento e l'unità: "Eppure, superato dei primi / sguardi il terrore e la nostalgia alla finestra, / i primi passi insieme, una volta attraverso il giardino: / amanti, ancora lo siete?". C'è dunque, anche qui, un ritorno alla differenza, un rientro in sé, ma dopo la fusione. Ecco, qualcosa di simile avviene nella poesia, la quale celebra uno sposalizio della parola con la cosa, "e in esso un ritorno della parola a se stessa".
Nulla vi è di trascendentale in tutto questo. [...] Il poeta si troverebbe così a usare le parole per nominare le cose, come Adamo prima della Caduta, nella perfetta aderenza tra le une e le altre. Ma questa pretesa di trascendenza, di originarietà, è un errore già sottolineato da Nietzsche: "glorificare l'origine - scriveva in Umano, troppo umano - è questo il germoglio metafisico che rispunta nella considerazione della storia e che fa ogni volta credere che al principio di tutte le cose si trovi il più perfetto e il più essenziale". No, ribatte Calvo(*), "la poesia, l'uomo stesso, devono vivere nel peccato: nella condizione umana". [...]
E' alla terra che ci riconduce la poesia: non agli angeli [...]. L'angelo ha, per dirla con Agostino, una cognitio matutina: vede tutto direttamente in Dio e conosce le cose nel momento in cui il sole le svela per la prima volta. Non così l'uomo. Nel rapporto fra parole e cose, le parole restano parole, e le cose restano esterne ad esse. Tuttavia, "una qualche scintilla scoppia fra di esse: perché, se non ci fossero le cose, il linguaggio non avrebbe nulla da dire". [...]
L'uomo è invece legato alla cognitio vespertina, a una conoscenza che è già piena di ombre che si allungano: solo attraverso una serie di mediazioni sappiamo che ci deve essere stata una qualche mattina della nostra sera. "Allora diciamo così: la poesia è il canto della sera. Ma è un canto che gli angeli, i quali se ne stanno nella mattina, non possono capire". [...]
L'angelo conosce, all'uomo è dato comprendere [...]. Noi siamo invitati a comprendere, non ad afferrare direttamente la realtà. L'angelo non cessa di conoscere per tutta un'eternità. L'eternità che viene preparata per noi non è temporale. Nell'atto della comprensione noi abbiamo una forma di esperienza di qualcosa che può essere anche detta eterna, "non perché diventi eterna e debba essere collocata su un piedistallo, ma perché, per un istante o per quel tanto che noi la comprendiamo, viene sottratta alla dimensione della transitorietà".Ecco, questa è la cosa piccola: il dono della poesia è un "tesoro nostro... che non dovremmo mai pensare di scambiare con la condizione angelica: perché sarebbe un vano correre dietro alle chimere [...]".



(*) Francesco Calvo, L'esperienza della poesia, a cura di P. Boitani; tutte le citazioni tra virgolette, la cui fonte non è indicata, provengono da questo testo.

sabato 30 novembre 2013

PODBRDO

Le pietre hanno veduto.
Hanno ascoltato. Così non fosse
Perché zittire la bestemmia
Al calpestìo delle pedule?
Perché arroventarsi al sole
Consumarsi all’acqua?
Per testimonia della traccia?
Perché durare?

1998


(da: Formicaio barocco - 2004)




venerdì 22 novembre 2013

D'aggettivare non è più tempo
con inutili complementi da réclame:
dietro la sua ombra
è sufficiente nominarla la cosa
prima dell'agire badando
perché la mano
quando ad altra poi s'intreccia
come serpi figurano
e dire non sapremo
se è lotta o amore.

(inedito)

giovedì 14 novembre 2013

“Avere il coraggio di rivelare la propria soggettività e il proprio animo fino ai suoi anfratti più oscuri, le paure e le aspirazioni più intime - questa è poesia”.


Marin Sorescu (Bulzești, 29 februarie 1936  - Bucarest, 8 decembrie 1996)




Marin Sorescu



lunedì 11 novembre 2013

SII TERRA

Catturami se non sai darmi ascolto
se t’è estranea la vampa del desiderio.

Lègami come un animale sottratto al suo errare
e recidimi la carne e il cuore strappalo
nelle tue mani addormentalo
come un bambino con il suo capriccio.

Distenditi dunque come una vigna
su quello scasso formatosi in petto
e offriti a me non più carnefice
ma consolatrice.

Sii terra. Buona e feconda tu sia terra
in ogni fremito del mio corpo
io ne sarò semenza e nei tuoi solchi
mi disperderò.

I segreti tutti li schiuderemo
degli amanti.



(da: Vocianti - 2010)


domenica 10 novembre 2013

Nina Cassian

C'è modo e modo di sparire
(poesie 1945-2007)

A cura di Ottavio Fatica
Traduzione di Anita Natascia Bernacchia, Ottavio Fatica
2013, pp. 301

isbn: 9788845928239

Letteratura romena, Letteratura inglese





Dal risvolto di copertina

Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brâncusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l'esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese –, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell'odierno panorama poetico internazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da Mandel'štam a Cvetaeva, da Apollinaire a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily Dickinson, «sublime sorella», o anche più indietro, all'amoroso furor saf­fico. Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso – e nudo, sempre, e sempre seducente. Si passa dalle punte epigrammatiche avvelenate ai voli pindarici sulle ali d'organo di un Bach – non per niente la Cassian compone musica: e dipinge, disegna, illustra libri anche per l'infanzia, spesso scritti da lei –, e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci riguardano da vicino, «sconvenientemente». 


martedì 5 novembre 2013

Un pregiudizio l’ "io" in poesia, caro Aldo Nove?

Iannozzi Giuseppe
Giusto un pregiudizio l’io. C’è modo e modo d’adoperarlo, uno sbagliato e uno invece necessario non fosse altro che per far dispetto a dio, cioè al nostro io; e però a ben guardare, a destra e a sinistra, in alto e in basso, dio non c’è e se sì si fa gli affari suoi, la qual cosa dovrebbe rendercelo almeno almeno un cincinnino simpatico.

Caro Aldo Nove, se vogliamo sputare in faccia all’io, bene, facciamolo e buttiamo nel cesso il 99,9% della poesia che sin dalla notte dei tempi è stata scritta per “noi” posteri e teniamoci un ridicolo 0,1% senza io. Potremmo farlo, certo che sì, gettare nell’oblio tutta la poesia dall’anno Zero a “noi”, e ci rimarrebbe in mano un pugno di mosche, nemmeno bianche: solo delle mosche, di quelle che stanno sui pesci vecchi di almeno tre giorni. Mosche ben pasciute con occhi enormi, mosche che presto sposteranno la loro luciferina anima verso qualche cadavere fresco, ancora da seppellire in terra (s)consacrata, con su uno di quegli avelli tanto cari al Foscolo.

E però io a fare il becchino non sono buono, e a dirla tutta non mi riesce granché bene neanche la parte d’improvvisarmi prete, indi per cui lascio a te, caro Aldo, il compito di seppellire il 99,9% della poesia dall’anno Zero a “noi”. Vedi un po’ tu te dove scavare le fosse. Sì, certo, dovrai scavare per un’eternità o forse anche di più, ma alla fine, alla fine avrai la tua bella soddisfazione d’aver seppellito il 99,9% della poesia che un io ce l’aveva; e alla fine, molto alla fine, la ricompensa di trovarti in terra marziana, arida, morta, vuota. Ci sarai però tu te, con il tuo io dimenticato, ci sarà nella tua testa il “tuo” amato 0,1% di poesia, quello che milioni d’anni fa decidesti di salvare per dirlo valido, e chissà che te ne farai, e chissà se esso sarà per te una minima consolazione o una suprema condanna.

(Iannozzi Giuseppe)


mercoledì 30 ottobre 2013


La poesia è una forma di conoscenza, una fonte di energia, un serbatoio concettuale. Ogni metafora nasconde la possibilità di un concetto che non è ancora stato creato, ma che è certamente necessario per capire il mondo.

(Matei Vișniec - poeta e drammaturgo romeno)





sabato 5 ottobre 2013

LE NOTTI DI LAMPEDUSA

bruciata terra copre le nostre radici
e come fiori secchiamo nei vasi.

la tenebra ci stiva dentro una forma galleggiante
stretti stretti a una sola speranza: delle spighe
l'equa mietitura.

ma per la semina in comunanza
quale il soldo da versare?

inchinarci al trono d'occidente?
cancellare le orme a ogni passo?
estinguerci come involute croci?

(15 febbraio 2011)



(©Giovanni Abbate - Inedito)


sabato 21 settembre 2013

NON PROMETTETE TERRE LONTANE

Non promettete terre lontane
a tutti non sarà lungo il cammino
l’occasione è questo spazio sassoso:
dolgono i piedi ma alle stelle spalanchiamo le braccia.
                                                 
Non promettetele…
dissimulando il pianto della scavatrice
la bomba in capo alla scuola
la malattia che irride la madre.

Dite a gran voce
che la folla che preme ripara dal freddo
che scrive la storia la mano che sbaglia
ed è l’inciampo un frullare di ali.



(©Giovanni Abbate - Inedito)

domenica 4 agosto 2013

STASERA E' SCAPPATA

stasera è scappata via
scacciata la solitudine
dal fragore assordante
che hanno fatto i morti
nel megafono dei miei
pensieri.

3 agosto 2013


(©Giovanni Abbate - Inedito)

mercoledì 26 giugno 2013

HO CHIESTO ALLE MIE GAMBE

Ho chiesto alle mie gambe
Di non correre sulla salita
Che in cima sì prima di notte
Avrei visto il mare
Ma distante per abbracciarlo.

©Giovanni Abbate - Inedito



sabato 22 giugno 2013

PARTENZA

Non dormimmo la notte
(tumultuava come folla
l’ansia nelle vene).

I bambini – vestiti di meraviglia –
disegnavano in terra il contorno dell’alba.

Affidatarie della cura – le donne
ponevano vestimenta e affetti
nei bagagli.

Ad alta voce i vecchi
leggevano le nuvole.

A ciascuno
fu consegnato un vademecum
in caso di perdimento.

A caratteri marcati
l’indirizzo della Provvidenza
– dai bufali alle lèndini
era sottolineato.




(da: Inconsapevoli viaggi, in Il venditore di suoni tattili - 2007)

domenica 16 giugno 2013

DIES RESURRECTIONIS

Ogni casa o rifugio di viventi
Ha già pronti tavoli e sedie innumerevoli
E a turno si veglia l’ingresso
Svelti ad avvertire nelle cucine dell’arrivo:
Fame e stanche le ossa avranno.

E se accadesse domani? O domani l’altro? O mai?
Oggi sarà!
Perché dunque indugiano?
Si saranno fermati a osservare il paesaggio:
Mancano da lunghissimo tempo – molti.
O la strada non ricordano e staranno orientandosi
Riconoscendo una quercia o la gobba d’una collina.

E questa notte? Già il buio s’appresta.
Sosteranno da qualche parte e domattina
Riprenderanno il viaggio con la luce a guidarli.
Imboccheranno la direzione giusta – vedrai –:
Quella percorsa un tempo che partirono.
Ma leggiamo ora. Siamo soltanto a metà della pagina
E le pagine vanno lette fino al fondo
Prima di richiudere il libro.

Un’altra notte! Le loro palpebre sapranno reggere la vista?
Si fermeranno. Riposeranno in luogo sicuro
Come la notte precedente e saziati dal sonno
Più celeri consumeranno lo spazio che ci divide.
A voce bassa – ti prego – seguitiamo a leggere.
A che punto siamo del capitolo?

È nuovamente notte! E fuori piove e gira il freddo.
Staranno riparandosi al tepore d’un falò.
Qualche pastore avrà ricordato il bivacco delle notti
Con il fuoco a tenergli compagnia.
Ma prima che si riveli l’alba ripartiranno
Che la strada ancora non s’è quietata.
Tu non sai quanto è lungo un passo
Per quelli che ci credono.


(da: Formicaio barocco - 2004)

sabato 15 giugno 2013

ALTER EGO

Molto abbiamo sbagliato – Giovanni –
nella stesura della rappresentazione.

La forma non pienamente capace
il contenuto inesatto e artificioso.

Daccapo molto è da riscrivere.
Daccapo riordinare gli sparsi appunti.

Ma teniamo per buono quel poco che è:
l’insonne cercare teniamolo.


(da: Inconsapevoli viaggi, in Il venditore di suoni tattili - 2007)

sabato 1 giugno 2013

ANTIFONA


Quell’allontanarci
disciplinato dalla ritualità di zaini
cappellini e fotocamere
noi lo chiamiamo viaggio.
Ma ci spostiamo distrattamente
da un posto
                                 all’altro. Questo è.

Una lunghezza non è
né svegliarsi altrove: siamo
come atolli tirati a sorte
il viaggio
in questo mare atteso. 

(da: Inconsapevoli viaggi; in Il venditore di suoni tattili - 2007)


mercoledì 29 maggio 2013

STRALCIO DA UNA VITA – III

Sono stanco di continuare a dire.

Vorrei che le mie mani s’impegnassero
in un lavoro di mani – fabbricando.

Al mercato delle frodi
pinze e filo di ferro andrò cercando
e una manciata di lunghi chiodi.

Cosa realizzerò con le mie mani
tuttavia lo ignoro.

Ma osservando intorno
antiche e rugginose mancanze
un’ipotesi in me s’affiora: ricambi…
per le umane doglianze.


(da: Inconsapevoli viaggi; in Il venditore di suoni tattili - 2007)




sabato 4 maggio 2013

Da: "Vocianti" - 2010

COLONÌA METRÒM*
Colonìa Metròm è una virgola
una breve pausa
nel discorso degli eventi
per dire che i sette arcangeli
sono passati di qua senza fermarsi
per troppa fretta di procedere.
È una zattera ancorata al vento
con le speranze di Mitriţă e Viorica
e altri seguenti
annotate con bella grafia
nel registro delle presenze.
Su quel margine d’argilla
ho portato i miei passi
in un tardo meriggio d’estate: furtivamente
ho cercato con gli occhi
la bambina con la chiave appesa al collo.
L’ho cercata dietro gli angoli rattoppati
tra i ciuffi dell’erba magra
nelle aiuole abbandonate
ma la bambina con la chiave appesa al collo
non l’ho veduta.
Neppure nella penombra delle scale
l’ho scorsa
che ha salito certamente
e sceso milioni di volte
nell’intreccio dei giorni
come un ragno costruendo la sua tela.
Nessuno neppure a guardare lo spicchio di cielo
sognandosi donna.
È andata via – dicono – probabilmente
come tanti di buon mattino
perché la notte qui
è più nera che altrove
e quasi son partiti tutti
cercando candele ovunque.
Luminosissime candele – dicono –
da piantare sulle mute stelle.

Braşov, 19 agosto 2009

*Colonìa Metròm è un sobborgo popolare nella zona industriale di Braşov.
Oggi, la gran parte di quelle fabbriche sono ormai chiuse da tempo.


*

PIAŢA SFATULUI
Non importano le coordinate
piaţa Sfatului è tra la terra e il cielo
sospesa a un filo d’irrealtà
e quasi t’aspetti che parli la tua lingua.
Il piombo dell’esistenza
qui diviene materia nobile – plausibile.
Anche l’anima si evolve nella parola
rara della felicità.

Braşov, 24 agosto 2009


*

L'OCEANO CHE E' IN TE
Con il mio cuore navigante
l’oceano che è in te attraverso
ignaro dell’abisso.
Quando la burrasca costringe all’àncora
al fischio del treno non ho mai ceduto.
È questo che chiamano amore?


*

IL MONDO DI TE NON SA
Il  mondo di te non sa – anima mia –
che del mondo sei
non sa del tuo nome la grafia
il colore dei capelli
né la direzione del tuo cammino
ma se dimenticassi
anche uno solo dei tuoi respiri
fenderebbe la sua corteccia
una profonda
sanguinante ferita.
15 febbraio 2010


*

VOCIANTI
A questo gran vociare la mercanzia
a questo incantamento dell’ascoltatore
con le parole assoldate come puttane
non altra misura che il silenzio…
guardarci negli occhi
ove s’annidano certe le promesse
e la testimonianza come di marmo scritta
dove la notte è notte
la luce tu vedi che è luce
e la lingua tace come sconfitta
chiusa nella gabbia dei denti
e quello che accade senti
come d’ombre una dimenticanza.


*

CI VOLTIAMO A UNA VOCE
            Ci voltiamo a una voce
o ad altro che le somigli
come il sibilo del vento
le note di un violino
le grida di una gabbiana
alla luce dell’alba.
            Ci voltiamo a una voce
per poterci fermare
esaminare la posizione
misurare la nostalgia
di quell’ultima piana
col metronomo del cuore.
            Ci voltiamo a una voce
per non sentirci soli
incrociare lo sguardo
distratto del passante
convincendoci la mente
che quella è la strada.
            Ci voltiamo a una voce
lo stesso senza udirla
(o estraneo a noi quel timbro)
quel gesto come di natura
sperandoci alle spalle
l’incitamento di Dio.


*

IL COREUTA DI ARGO
La scena non è più la stessa.
Un tempo fummo folla comunità
cantori necessari di quella spaziosità concessa.
E mai mancava la sottolineatura
perché tutti capissero
quel che la vicenda narrasse
– fosse incesto tradimento o sepoltura.
Vedili ora: un manipolo attrezzati
d’improvvisati recitanti – fondali meccanizzati
microfoni altoparlanti –
sullo scenico palco smisuratamente
persi
nello spazio di quel perimetro. Li vedi
come cercare nel vuoto
le battute da bocca a bocca
saltellando come rospi di vetro.
Più non partecipiamo alla rappresentazione.
Non più preghiera. Appartenenza.
Non più il nostro intercalare
s’ode costante
quell’intermittenza nel dialogo
rassicurante
quell’intromissione…
breve
della coscienza.


*

L'ANIMALE
Vagava fra ciuffi d’erba
con il sole rovente
che gli puntava addosso.
A una pozza si fermò.
Le zampe tremanti
per il corpo grasso.
Un fruscio
in quell’istante lo ammonì.
Ristette all’ascolto
(chi poteva sapere
chi conosceva – dunque –
l’accadimento?)
scisso tra l’insaziato bere
e la mossa esangue
dell’allontanamento.


*

COME LA PIETRA
Come la pietra…
compatta
immutabile
fedele dov’è posta
singolare a se stessa
non generante
levigata di malinconie
odio
inutili promesse
che dissepolta
è rivelatrice di passi
humus
di fossili ronzii testimonianza
come la pietra…
non manco di provare
la mia esistenza.


*

DALL'ESILIO
Ci stiamo abituando a questo luogo.
Per nulla l’oscillare ci stupisce
dalla luce alla notte come il mare
né la malastagione né lo strazio della terra
per lo sbadiglio delle sue viscere.
Ci stiamo abituando a noi stessi
alle nostre veglie ai nostri sonni
al biasimato chiacchiericcio
al dolore di testa come alla zoppìa.
Né il muro ormai più c’infastidisce
che dell’orizzonte sbarra il cammino
e da questa corte stipata di sguardi
vedere al di là proibisce.


*

AI SAPIENTI
Spiacente – signori –
non credo ai luccicanti proclami
al linguaggio sintattico
al pensiero colto
di chi non ha mai bestemmiato.
Smettete di dosso le vesti bianche
le mani adunche a scavare la tana
gli occhi lacrimosi dalla polvere.
Innominato sorga il vostro giudizio
dall’incanto primitivo
e di bocca emettete suoni
articolando fonemi viscerali:
barriti…latrati…acuti cinguettii.
Solo allora potrò credere
curvo dei miei miraggi
ciò che direte con lingue di tufo.

giovedì 2 maggio 2013

Da: "Inconsapevoli viaggi", in "Il venditore di suoni tattili - 2007


AB INITIO
                                            Qui comincio.
Da questa radura bianca.
Dal cominciamento
che tutto battezza
                                            …e avvia.
Confidando nell’istinto
saprò orizzontarmi
con il favore dei suoni tattili.
Se il bivio fosse d’imbarazzo
ci disperderà il vento – hanno detto –
via dall’incertezza.



*

ALLA STAZIONE
Eravamo tutti affaccendati
con la tavola pitagorica
degli arrivi e le partenze
– e quello che per gli uni – arrivando –
era già memoria
per gli altri era l’ignoto –
quando da un altoparlante
una voce ammonì: – Chi ha rubato
la valigia di Dio?


*

ASPETTANDO IL FISCHIO
Sull’ultimo binario
– quello più remoto
dove non si parte per le città capitali
dove ci sono gli orinatoi
e il deposito bagagli –
un lungo treno sostava di partenti
coperti da poca carne
su quei vivi disperatamente corpi.
La maggior parte
bisbigliava il respiro
nella compostezza.
Solo alcuni fumavano la collera
ingiallendosi le dita.
Chiesi dove andava
quel carico di folla. Risposero
che nessuno sapeva.
Che partisse – poi –
molti dubitavano.
Era lì fermo
quel treno da sempre.
Aspettando il fis​chio.


*

NON HO MEMORIA DEL FUTURO
Non ho memoria del futuro.
Mai ricordo le strade che percorrerò
le promesse che farò
o le porte che aprirò rincasando.
In questo presente senza patria
mi piace a volte
almanaccare con il passato.
Presagire il mistero di quell’opaca lavagna
(quanto gesso vi si è consumato?).
E come uno scolaro disattento
inaspettatamente perdermi
in un’algebrica immortalità.


*

LE PAROLE
Hanno la trasparenza
del vetro – le parole.
E come il vetro sono fragili
e taglienti.
Sono alberi
che fruttano nelle gelate notturne
– ma una favilla
può azzittirle in cenere.
                                            Esiliati
in questa sala d’aspetto
siamo come quaderni – bianchi
gli spazi tra rigo
e rigo.
A impastare le ali
per la commedia del volo
ci occorrono le parole.
A farci viandanti.


*

ELEGIACA
Febbraio fu troppo corto
l’anno duemilaquattro.
Non si levò ancora giorno
quando valicasti il segreto
con la grammatica del                 distacco.
A quell’improvvisa procedura
(che fu come di partenza)
assistetti fatto a uomo: inutile
fu cercare la parola
che parlasse quella stessa lingua
e per lo stradone antico
sprofondano ora i miei passi
nel baratro della tua assenza.
Nella notte dell’attesa
leggero ti sia – padre –
leggerissimo il sonno.


*

STRALCIO DA UNA VITA

                                                    a Peter Mead – Illinois​

Chi è il mio iscariota?
E quale sinedrio l’ha stabilito?
Porto la mia croce (la similitudine
io vi prego d’assolvere)
in una gerusalemme remota
e non vedo accanto il cireneo
e in cima non m’aspetta un gòlgota.


*

GLI UCCELLI
Noi non sappiamo mai dove faremo il nostro nido
perché un albero non abbiamo di spettanza.
                                              
                                                               Così
profittiamo dei rami assolati
per scaldarci le fragili ossa.
Da quelli più alti
altrove ammiriamo le distese di grano.
E quelli frondosi
adattissimi sono al riparo
quando la pioggia batte il suo ritmo.
                                                               Migrando
ci saturiamo nelle distanze.
Definiti saremo solo in fondo al Tempo
catturati dalle radici.


*

PROSPETTIVE
Quella cattedrale – guarda –
con le guglie quasi a toccare il cielo
e gli arcangeli ai lati del rosone
con il Cristo assiso benedicente
e sotto  il maestoso portale
con le scene dell’Apocalisse
scolpite nel bronzo…
Dove?


*

L'OSSERVATORE
                                           Questo annoto
(e la mano è certa nella traccia):
il pascolo paziente delle nuvole
la carezza dell’ombra a una rosa
l’annusare di un cane la femmina.
                                 
                                            Altro non vedo
– se non un cantiere di costruende forme
l’udire indistinto di voci e ferraglia.
Apposto da tempo incerto
un cartello avverte: lavori in corso.


*

NEANDERTHAL
L’arbitrio di Kronos mi consegnò
in un groviglio di vegetazione
e grida di bestie che rompevano il silenzio.
Come un demone deforme
m’impaurì il fuoco
malignamente scaturito dall’alto.
Ebbi il coraggio di rubarne un poco:
era caldo e luceva
e lo custodii
perpetuandone i tizzoni
a futura memoria.
Di mezzo alla notte
fui attratto dall’odore di femmina
e mi congiunsi a lei
e mi piacque
quell’odore di fieno umido.
Quel lamento di desideri
ci piacque.
Ci tenemmo compagnia fino alla sponda del mattino.
Da quella promessa fummo uomo e donna.
Compresi la morte
– sempre immaginata come
un prolungatissimo nascondimento –
e imparai a seppellire i corpi
con fiori e cibo
perché potessero profumarsi e cibarsi
dove non v’è segno.
Una sera
mi venne di levare lo sguardo in alto
– silenziosamente.
Sentii in me farsi tenera l’inquietudine.
Pazientemente graffiai sulla roccia
le cose che mi furono belle
e questo di me che avvenne
prima delle vostre teologie.


*

GENEALOGIE INFINITE
Attraversando il ponte sul fiume che scorre
malespressamente conversiamo la nostra verità.
                                    
Come pedoni su una scacchiera
due case muoviamo alla prima mossa
poi di casa in casa è il passo
per l’inutile scacco alla regina nera.
L’inverno stampa sulla pelle il suo elzevìro.
Dalla memoria riemerge il primordiale abbraccio
– l’affanno della prima copula –
e a riscaldarci ci chiamiamo
                                                        con l’animale respiro.
Ecco come sboccia la primavera.