sabato 21 dicembre 2013
SPECIALE GRUPPO 63
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-12c6465e-c327-4318-8eeb-dc95a9ecde04.html#p=
mercoledì 18 dicembre 2013
NON CHIEDERMI COS'E' L'AMORE
(a E.)
Chiedimi – fragile amica –
Della genìa delle costellazioni
Delle preghiere notturne dei cammelli.
Chiedimi degli abissi o delle maree
Dei giorni pari e dei giorni dispari.
Chiedimi dello zero assoluto
Delle rotte inesistenti
Del tintinnìo dei lupini secchi.
Chiedimi dei monsoni
Delle piogge acide
Della bora di Nord-Est.
Chiedimi di ciò che accadrà
O che potrebbe accadere
Ma non chiedermi cos’è l’amore.
Solo posso dirti: taci!
(da Formicaio barocco - 2004)
NU
MĂ ÎNTREBA CE ESTE DRAGOSTEA
Întreabă-mă - gingaşǎ prietenǎ -
Despre originea constelaţiilor
Despre rugăciunile nocturne ale cǎmilelor.
Intreabǎ-mǎ despre abisuri sau maree
Despre zile pare şi zile impare.
Intreabǎ-mǎ despre zero absolut
Despre drumuri inexistente
Despre clinchetul lupinilor uscaţi.
Intreabǎ-mǎ despre musoni
Despre ploile acide
Despre vântul de nord-est.
Întreabǎ-mǎ ce se va întâmpla
Sau ce s-ar putea întâmpla
Dar nu mǎ ȋntreba ce este dragostea.
Pot doar sǎ-ţi spun: taci.
(Traduzione dal romeno di Alina Breje)
sabato 7 dicembre 2013
A PRIMO LEVI
Mais nous ne savions pas, Seigneur,
combien il est difficile d'être libre.
(D. M. Turoldo)
Le marronnier du Cours Roi Umberto
Je ne l'ai pas oublié - poète -
Vieux et sans honte de se dresser
Entre les carosseries des automobiles.
Tu l'épiais derrière la fenêtre
Et t'étonnais au changement de saison
Qu'il se mette à porter des fruits
Le long du barbelé des branches.
Comme dans une mine ou carrière abandonnée
À une heure incertaine tu t'appellais
Pour sonder les molécules de la mémoire
Et comprendre la raison des choses absurdes:
Cet endémique tradition
De vaincus et vainqueurs
D'opprimés et d'oppresseurs
De victimes et de bourreaux.
Oui. Je me souviens du marronnier - poète.
De mes yeux je l'ai vu
Plantè dans le ciment
Tout près des rails du tram.
Mais je me souviens d'un avril encore
Et d'une volée de marches engloutie par l'oubli
Que plus personne ne gravit
Pour frapper à la porte du pourquoi.
(de Fourmilière baroque, 2004)
Traduction inédite de François Rastier
combien il est difficile d'être libre.
(D. M. Turoldo)
Le marronnier du Cours Roi Umberto
Je ne l'ai pas oublié - poète -
Vieux et sans honte de se dresser
Entre les carosseries des automobiles.
Tu l'épiais derrière la fenêtre
Et t'étonnais au changement de saison
Qu'il se mette à porter des fruits
Le long du barbelé des branches.
Comme dans une mine ou carrière abandonnée
À une heure incertaine tu t'appellais
Pour sonder les molécules de la mémoire
Et comprendre la raison des choses absurdes:
Cet endémique tradition
De vaincus et vainqueurs
D'opprimés et d'oppresseurs
De victimes et de bourreaux.
Oui. Je me souviens du marronnier - poète.
De mes yeux je l'ai vu
Plantè dans le ciment
Tout près des rails du tram.
Mais je me souviens d'un avril encore
Et d'une volée de marches engloutie par l'oubli
Que plus personne ne gravit
Pour frapper à la porte du pourquoi.
(de Fourmilière baroque, 2004)
Traduction inédite de François Rastier
[NDT: Giovanni Abbate, né en 1963, a passé sa jeunesse à Turin. Alors que les poèmes de Primo Levi, recueillis dans Ad ora incerta, Garzanti, 1987, sont injustement négligés, il tient à lui reconnaître ici le titre de poète.]
lunedì 2 dicembre 2013
L'ESPERIENZA DELLA POESIA
da: Piero Boitani, Letteratura e verità - Edizioni Studium (2013); pagg.72 - 76
Le esperienze che più si avvicinano a quella della poesia sono quelle dell'incontro con l'altro: l'amicizia e l'amore. L'incontro con l'altro può essere un istante casuale, un momento di tutti i giorni, un mondo che si apre verso una persona sconosciuta in modo del tutto imprevisto, come in A une passante di Baudelaire, dove la "bellezza fuggitiva" che compare all'improvviso nel clamore della strada costituisce "una sorta di promessa che ci viene da fuori, di una pienezza possibile". Quella promessa viene mantenuta nell'amicizia [...]. Il fatto è che secondo tale interpretazione si vuole bene all'amico perché tale bene viene sentito come nostro: nel rapporto d'amicizia, insomma, riconquistiamo, ri-conosciamo, attraverso l'altro, noi stessi. In modo simile, nell'amore (Fedro e Simposio indicano la via alla seconda delle Elegie Duinesi) si attua una ricomposizione in unità, che mantiene però la differenza. Nell'atto d'amore c'è un momento in cui le nostre energie, i nostri desideri e bisogni sono come placati: "una sospensione dell'essere come se ogni cosa fosse al suo posto". Ora, "gli amanti potrebbero - secondo Rilke - dire meraviglie", quasi sentissero qualcosa del nostro essere originario, l'Adamo primigenio che è in noi, "quello che se ne stava beato con tutte le cose che erano, ed egli le poteva nominare". Ma viene, nell'Elegia stessa, il tempo dell'interrogazione, dopo l'appagamento e l'unità: "Eppure, superato dei primi / sguardi il terrore e la nostalgia alla finestra, / i primi passi insieme, una volta attraverso il giardino: / amanti, ancora lo siete?". C'è dunque, anche qui, un ritorno alla differenza, un rientro in sé, ma dopo la fusione. Ecco, qualcosa di simile avviene nella poesia, la quale celebra uno sposalizio della parola con la cosa, "e in esso un ritorno della parola a se stessa".
Nulla vi è di trascendentale in tutto questo. [...] Il poeta si troverebbe così a usare le parole per nominare le cose, come Adamo prima della Caduta, nella perfetta aderenza tra le une e le altre. Ma questa pretesa di trascendenza, di originarietà, è un errore già sottolineato da Nietzsche: "glorificare l'origine - scriveva in Umano, troppo umano - è questo il germoglio metafisico che rispunta nella considerazione della storia e che fa ogni volta credere che al principio di tutte le cose si trovi il più perfetto e il più essenziale". No, ribatte Calvo(*), "la poesia, l'uomo stesso, devono vivere nel peccato: nella condizione umana". [...]
E' alla terra che ci riconduce la poesia: non agli angeli [...]. L'angelo ha, per dirla con Agostino, una cognitio matutina: vede tutto direttamente in Dio e conosce le cose nel momento in cui il sole le svela per la prima volta. Non così l'uomo. Nel rapporto fra parole e cose, le parole restano parole, e le cose restano esterne ad esse. Tuttavia, "una qualche scintilla scoppia fra di esse: perché, se non ci fossero le cose, il linguaggio non avrebbe nulla da dire". [...]
L'uomo è invece legato alla cognitio vespertina, a una conoscenza che è già piena di ombre che si allungano: solo attraverso una serie di mediazioni sappiamo che ci deve essere stata una qualche mattina della nostra sera. "Allora diciamo così: la poesia è il canto della sera. Ma è un canto che gli angeli, i quali se ne stanno nella mattina, non possono capire". [...]
L'angelo conosce, all'uomo è dato comprendere [...]. Noi siamo invitati a comprendere, non ad afferrare direttamente la realtà. L'angelo non cessa di conoscere per tutta un'eternità. L'eternità che viene preparata per noi non è temporale. Nell'atto della comprensione noi abbiamo una forma di esperienza di qualcosa che può essere anche detta eterna, "non perché diventi eterna e debba essere collocata su un piedistallo, ma perché, per un istante o per quel tanto che noi la comprendiamo, viene sottratta alla dimensione della transitorietà".Ecco, questa è la cosa piccola: il dono della poesia è un "tesoro nostro... che non dovremmo mai pensare di scambiare con la condizione angelica: perché sarebbe un vano correre dietro alle chimere [...]".
(*) Francesco Calvo, L'esperienza della poesia, a cura di P. Boitani; tutte le citazioni tra virgolette, la cui fonte non è indicata, provengono da questo testo.
sabato 30 novembre 2013
PODBRDO
Le pietre
hanno veduto.
Hanno ascoltato. Così non fosse
Perché zittire la bestemmia
Al calpestìo delle pedule?
Perché arroventarsi al sole
Consumarsi all’acqua?
Per testimonia della traccia?
Perché durare?
1998
Hanno ascoltato. Così non fosse
Perché zittire la bestemmia
Al calpestìo delle pedule?
Perché arroventarsi al sole
Consumarsi all’acqua?
Per testimonia della traccia?
Perché durare?
1998
(da: Formicaio barocco - 2004)
venerdì 22 novembre 2013
giovedì 14 novembre 2013
lunedì 11 novembre 2013
SII TERRA
Catturami
se non sai darmi ascolto
se t’è estranea la vampa del desiderio.
Lègami come un animale sottratto al suo errare
e recidimi la carne e il cuore strappalo
nelle tue mani addormentalo
come un bambino con il suo capriccio.
Distenditi dunque come una vigna
su quello scasso formatosi in petto
e offriti a me non più carnefice
ma consolatrice.
Sii terra. Buona e feconda tu sia terra
in ogni fremito del mio corpo
io ne sarò semenza e nei tuoi solchi
mi disperderò.
I segreti tutti li schiuderemo
degli amanti.
se t’è estranea la vampa del desiderio.
Lègami come un animale sottratto al suo errare
e recidimi la carne e il cuore strappalo
nelle tue mani addormentalo
come un bambino con il suo capriccio.
Distenditi dunque come una vigna
su quello scasso formatosi in petto
e offriti a me non più carnefice
ma consolatrice.
Sii terra. Buona e feconda tu sia terra
in ogni fremito del mio corpo
io ne sarò semenza e nei tuoi solchi
mi disperderò.
I segreti tutti li schiuderemo
degli amanti.
(da: Vocianti - 2010)
domenica 10 novembre 2013
Nina Cassian
C'è
modo e modo di sparire
(poesie 1945-2007)
A cura di Ottavio Fatica
Traduzione di Anita Natascia Bernacchia, Ottavio
Fatica
2013, pp. 301
isbn: 9788845928239
Letteratura romena, Letteratura inglese
Dal
risvolto di copertina
Ultima figura
emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di
quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brâncusi e Tzara, Ionesco,
Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un
tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già
titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del
regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della
polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la
politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e
chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce
a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e
propria ricreazione delle poesie romene precedenti l'esilio, nonché la stesura
di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese
–, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell'odierno
panorama poetico internazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi
ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da Mandel'štam a
Cvetaeva, da Apollinaire a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily
Dickinson, «sublime sorella», o anche più indietro, all'amoroso furor saffico.
Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti
disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso – e nudo, sempre,
e sempre seducente. Si passa dalle punte epigrammatiche avvelenate ai voli
pindarici sulle ali d'organo di un Bach – non per niente la Cassian compone
musica: e dipinge, disegna, illustra libri anche per l'infanzia, spesso scritti
da lei –, e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci
riguardano da vicino, «sconvenientemente».
martedì 5 novembre 2013
Un pregiudizio l’ "io" in poesia, caro Aldo Nove?
Iannozzi Giuseppe |
Giusto un
pregiudizio l’io. C’è modo e modo d’adoperarlo, uno sbagliato e uno
invece necessario non fosse altro che per far dispetto a dio, cioè al
nostro io; e però a ben guardare, a destra e a sinistra, in alto e
in basso, dio non c’è e se sì si fa gli affari suoi, la qual cosa dovrebbe
rendercelo almeno almeno un cincinnino simpatico.
Caro Aldo
Nove, se vogliamo sputare in faccia all’io, bene, facciamolo e buttiamo
nel cesso il 99,9% della poesia che sin dalla notte dei tempi è stata scritta
per “noi” posteri e teniamoci un ridicolo 0,1% senza io. Potremmo
farlo, certo che sì, gettare nell’oblio tutta la poesia dall’anno Zero a “noi”,
e ci rimarrebbe in mano un pugno di mosche, nemmeno bianche: solo delle mosche,
di quelle che stanno sui pesci vecchi di almeno tre giorni. Mosche ben pasciute
con occhi enormi, mosche che presto sposteranno la loro luciferina anima verso
qualche cadavere fresco, ancora da seppellire in terra (s)consacrata, con su
uno di quegli avelli tanto cari al Foscolo.
E però io
a fare il becchino non sono buono, e a dirla tutta non mi riesce granché bene
neanche la parte d’improvvisarmi prete, indi per cui lascio a te,
caro Aldo, il compito di seppellire il 99,9% della poesia dall’anno Zero a
“noi”. Vedi un po’ tu te dove scavare le fosse. Sì, certo,
dovrai scavare per un’eternità o forse anche di più, ma alla fine, alla fine
avrai la tua bella soddisfazione d’aver seppellito il 99,9% della poesia che un io ce
l’aveva; e alla fine, molto alla fine, la ricompensa di trovarti in terra
marziana, arida, morta, vuota. Ci sarai però tu te, con il tuo io dimenticato,
ci sarà nella tua testa il “tuo” amato 0,1% di poesia, quello che milioni
d’anni fa decidesti di salvare per dirlo valido, e chissà che te ne farai, e
chissà se esso sarà per te una minima consolazione o una
suprema condanna.
(Iannozzi
Giuseppe)
mercoledì 30 ottobre 2013
sabato 5 ottobre 2013
LE NOTTI DI LAMPEDUSA
bruciata terra copre le nostre radici
e come fiori secchiamo nei vasi.
la tenebra ci stiva dentro una forma galleggiante
stretti stretti a una sola speranza: delle spighe
l'equa mietitura.
ma per la semina in comunanza
quale il soldo da versare?
inchinarci al trono d'occidente?
cancellare le orme a ogni passo?
estinguerci come involute croci?
e come fiori secchiamo nei vasi.
la tenebra ci stiva dentro una forma galleggiante
stretti stretti a una sola speranza: delle spighe
l'equa mietitura.
ma per la semina in comunanza
quale il soldo da versare?
inchinarci al trono d'occidente?
cancellare le orme a ogni passo?
estinguerci come involute croci?
(15 febbraio 2011)
(©Giovanni Abbate - Inedito)
sabato 21 settembre 2013
NON PROMETTETE TERRE LONTANE
Non promettete terre lontane
a tutti non sarà lungo il cammino
l’occasione è questo spazio
sassoso:
dolgono i piedi ma alle stelle spalanchiamo le braccia.
Non promettetele…
dissimulando il pianto della scavatrice
la bomba in capo alla scuola
la malattia che irride la madre.
Dite a gran voce
che la folla che preme ripara dal
freddo
che scrive la storia la mano che
sbaglia
ed è l’inciampo un frullare di
ali.
(©Giovanni
Abbate - Inedito)
domenica 4 agosto 2013
STASERA E' SCAPPATA
stasera è scappata via
scacciata la solitudine
dal fragore assordante
che hanno fatto i morti
nel megafono dei miei
pensieri.
scacciata la solitudine
dal fragore assordante
che hanno fatto i morti
nel megafono dei miei
pensieri.
3 agosto 2013
(©Giovanni
Abbate - Inedito)
mercoledì 26 giugno 2013
HO CHIESTO ALLE MIE GAMBE
Ho chiesto
alle mie gambe
Di non
correre sulla salita
Che in
cima sì prima di notte
Avrei
visto il mare
Ma
distante per abbracciarlo.
©Giovanni
Abbate - Inedito
sabato 22 giugno 2013
PARTENZA
Non
dormimmo la notte
(tumultuava come folla
l’ansia nelle vene).
I bambini – vestiti di meraviglia –
(tumultuava come folla
l’ansia nelle vene).
I bambini – vestiti di meraviglia –
disegnavano
in terra il contorno dell’alba.
Affidatarie della cura – le donne
ponevano vestimenta e affetti
nei bagagli.
Ad alta voce i vecchi
leggevano le nuvole.
A ciascuno
fu consegnato un vademecum
in caso di perdimento.
A caratteri marcati
l’indirizzo della Provvidenza
– dai bufali alle lèndini
era sottolineato.
Affidatarie della cura – le donne
ponevano vestimenta e affetti
nei bagagli.
Ad alta voce i vecchi
leggevano le nuvole.
A ciascuno
fu consegnato un vademecum
in caso di perdimento.
A caratteri marcati
l’indirizzo della Provvidenza
– dai bufali alle lèndini
era sottolineato.
(da: Inconsapevoli
viaggi, in Il venditore di suoni tattili - 2007)
domenica 16 giugno 2013
DIES RESURRECTIONIS
Ogni casa o rifugio di viventi
Ha già pronti tavoli e sedie innumerevoli
E a turno si veglia l’ingresso
Svelti ad avvertire nelle cucine dell’arrivo:
Fame e stanche le ossa avranno.
E se accadesse domani? O domani l’altro? O mai?
Oggi sarà!
Perché dunque indugiano?
Si saranno fermati a osservare il paesaggio:
Mancano da lunghissimo tempo – molti.
O la strada non ricordano e staranno orientandosi
Riconoscendo una quercia o la gobba d’una collina.
E questa notte? Già il buio s’appresta.
Sosteranno da qualche parte e domattina
Riprenderanno il viaggio con la luce a guidarli.
Imboccheranno la direzione giusta – vedrai –:
Quella percorsa un tempo che partirono.
Ma leggiamo ora. Siamo soltanto a metà della pagina
E le pagine vanno lette fino al fondo
Prima di richiudere il libro.
Un’altra notte! Le loro palpebre sapranno reggere la
vista?
Si fermeranno. Riposeranno in luogo sicuro
Come la notte precedente e saziati dal sonno
Più celeri consumeranno lo spazio che ci divide.
A voce bassa – ti prego – seguitiamo a leggere.
A che punto siamo del capitolo?
È nuovamente notte! E fuori piove e gira il freddo.
Staranno riparandosi al tepore d’un falò.
Qualche pastore avrà ricordato il bivacco delle notti
Con il fuoco a tenergli compagnia.
Ma prima che si riveli l’alba ripartiranno
Che la strada ancora non s’è quietata.
Tu non sai quanto è lungo un passo
Per quelli che ci credono.
(da: Formicaio barocco - 2004)
sabato 15 giugno 2013
ALTER EGO
Molto abbiamo sbagliato – Giovanni –
nella stesura della rappresentazione.
La forma non pienamente capace
il contenuto inesatto e artificioso.
Daccapo molto è da riscrivere.
Daccapo riordinare gli sparsi appunti.
Ma teniamo per buono quel poco che è:
l’insonne cercare teniamolo.
(da: Inconsapevoli viaggi, in Il venditore di suoni tattili - 2007)
sabato 1 giugno 2013
ANTIFONA
Quell’allontanarci
disciplinato dalla ritualità di zaini
cappellini e fotocamere
noi lo chiamiamo viaggio.
Ma ci spostiamo distrattamente
da un posto
all’altro. Questo è.
Una lunghezza non è
disciplinato dalla ritualità di zaini
cappellini e fotocamere
noi lo chiamiamo viaggio.
Ma ci spostiamo distrattamente
da un posto
all’altro. Questo è.
Una lunghezza non è
né
svegliarsi altrove: siamo
come atolli tirati a sorte
il viaggio
in questo mare atteso.
come atolli tirati a sorte
il viaggio
in questo mare atteso.
(da: Inconsapevoli
viaggi; in Il venditore di suoni tattili - 2007)
mercoledì 29 maggio 2013
STRALCIO DA UNA VITA – III
Sono
stanco di continuare a dire.
Vorrei che
le mie mani s’impegnassero
in un
lavoro di mani – fabbricando.
Al mercato
delle frodi
pinze e
filo di ferro andrò cercando
e una
manciata di lunghi chiodi.
Cosa realizzerò
con le mie mani
tuttavia
lo ignoro.
Ma
osservando intorno
antiche e
rugginose mancanze
un’ipotesi
in me s’affiora: ricambi…
per le
umane doglianze.
(da: Inconsapevoli viaggi; in Il venditore di suoni tattili - 2007)
sabato 4 maggio 2013
Da: "Vocianti" - 2010
COLONÌA
METRÒM*
Colonìa
Metròm è una virgola
una breve
pausa
nel
discorso degli eventi
per dire
che i sette arcangeli
sono
passati di qua senza fermarsi
per troppa
fretta di procedere.
È una
zattera ancorata al vento
con le
speranze di Mitriţă e Viorica
e altri
seguenti
annotate
con bella grafia
nel
registro delle presenze.
Su quel margine d’argilla
ho portato
i miei passi
in un
tardo meriggio d’estate: furtivamente
ho cercato
con gli occhi
la bambina
con la chiave appesa al collo.
L’ho
cercata dietro gli angoli rattoppati
tra i
ciuffi dell’erba magra
nelle
aiuole abbandonate
ma la
bambina con la chiave appesa al collo
non l’ho
veduta.
Neppure
nella penombra delle scale
l’ho
scorsa
che ha
salito certamente
e sceso
milioni di volte
nell’intreccio
dei giorni
come un
ragno costruendo la sua tela.
Nessuno
neppure a guardare lo spicchio di cielo
sognandosi
donna.
È andata
via – dicono – probabilmente
come tanti
di buon mattino
perché la
notte qui
è più nera
che altrove
e quasi
son partiti tutti
cercando
candele ovunque.
Luminosissime
candele – dicono –
da
piantare sulle mute stelle.
Braşov, 19 agosto 2009
*Colonìa Metròm è un
sobborgo popolare nella zona industriale di Braşov.
Oggi, la gran parte di
quelle fabbriche sono ormai chiuse da tempo.
*
PIAŢA
SFATULUI
Non
importano le coordinate
piaţa
Sfatului è tra la terra e il cielo
sospesa a
un filo d’irrealtà
e quasi
t’aspetti che parli la tua lingua.
Il piombo
dell’esistenza
qui
diviene materia nobile – plausibile.
Anche
l’anima si evolve nella parola
rara della
felicità.
Braşov, 24 agosto 2009
*
L'OCEANO
CHE E' IN TE
Con il mio
cuore navigante
l’oceano
che è in te attraverso
ignaro
dell’abisso.
Quando la
burrasca costringe all’àncora
al fischio
del treno non ho mai ceduto.
È questo
che chiamano amore?
*
IL MONDO
DI TE NON SA
Il
mondo di te non sa – anima mia –
che del
mondo sei
non sa del
tuo nome la grafia
il colore
dei capelli
né la
direzione del tuo cammino
ma se
dimenticassi
anche uno
solo dei tuoi respiri
fenderebbe
la sua corteccia
una
profonda
sanguinante
ferita.
15 febbraio 2010
*
VOCIANTI
A questo
gran vociare la mercanzia
a questo
incantamento dell’ascoltatore
con le
parole assoldate come puttane
non altra
misura che il silenzio…
guardarci
negli occhi
ove
s’annidano certe le promesse
e la
testimonianza come di marmo scritta
dove la
notte è notte
la luce tu
vedi che è luce
e la
lingua tace come sconfitta
chiusa nella
gabbia dei denti
e quello
che accade senti
come
d’ombre una dimenticanza.
*
CI
VOLTIAMO A UNA VOCE
Ci voltiamo a una voce
o ad altro
che le somigli
come il
sibilo del vento
le note di
un violino
le grida
di una gabbiana
alla luce
dell’alba.
Ci voltiamo a una voce
per
poterci fermare
esaminare
la posizione
misurare
la nostalgia
di
quell’ultima piana
col
metronomo del cuore.
Ci voltiamo a una voce
per non
sentirci soli
incrociare
lo sguardo
distratto
del passante
convincendoci
la mente
che quella
è la strada.
Ci voltiamo a una voce
lo stesso
senza udirla
(o
estraneo a noi quel timbro)
quel gesto
come di natura
sperandoci
alle spalle
l’incitamento
di Dio.
*
IL COREUTA
DI ARGO
La scena
non è più la stessa.
Un tempo
fummo folla comunità
cantori
necessari di quella spaziosità concessa.
E mai
mancava la sottolineatura
perché
tutti capissero
quel che
la vicenda narrasse
– fosse
incesto tradimento o sepoltura.
Vedili
ora: un manipolo attrezzati
d’improvvisati
recitanti – fondali meccanizzati
microfoni
altoparlanti –
sullo
scenico palco smisuratamente
persi
nello
spazio di quel perimetro. Li vedi
come
cercare nel vuoto
le battute
da bocca a bocca
saltellando
come rospi di vetro.
Più non
partecipiamo alla rappresentazione.
Non più
preghiera. Appartenenza.
Non più il
nostro intercalare
s’ode
costante
quell’intermittenza
nel dialogo
rassicurante
quell’intromissione…
breve
della
coscienza.
*
L'ANIMALE
Vagava fra
ciuffi d’erba
con il
sole rovente
che gli
puntava addosso.
A una
pozza si fermò.
Le zampe
tremanti
per il
corpo grasso.
Un fruscio
in
quell’istante lo ammonì.
Ristette
all’ascolto
(chi
poteva sapere
chi
conosceva – dunque –
l’accadimento?)
scisso tra
l’insaziato bere
e la mossa
esangue
dell’allontanamento.
*
COME LA
PIETRA
Come la
pietra…
compatta
immutabile
fedele
dov’è posta
singolare
a se stessa
non
generante
levigata
di malinconie
odio
inutili
promesse
che
dissepolta
è
rivelatrice di passi
humus
di fossili
ronzii testimonianza
come la
pietra…
non manco
di provare
la mia
esistenza.
*
DALL'ESILIO
Ci stiamo
abituando a questo luogo.
Per nulla
l’oscillare ci stupisce
dalla luce
alla notte come il mare
né la
malastagione né lo strazio della terra
per lo
sbadiglio delle sue viscere.
Ci stiamo
abituando a noi stessi
alle
nostre veglie ai nostri sonni
al
biasimato chiacchiericcio
al dolore
di testa come alla zoppìa.
Né il muro
ormai più c’infastidisce
che
dell’orizzonte sbarra il cammino
e da questa
corte stipata di sguardi
vedere al
di là proibisce.
*
AI
SAPIENTI
Spiacente
– signori –
non credo
ai luccicanti proclami
al
linguaggio sintattico
al
pensiero colto
di chi non
ha mai bestemmiato.
Smettete
di dosso le vesti bianche
le mani
adunche a scavare la tana
gli occhi
lacrimosi dalla polvere.
Innominato
sorga il vostro giudizio
dall’incanto
primitivo
e di bocca
emettete suoni
articolando
fonemi viscerali:
barriti…latrati…acuti
cinguettii.
Solo
allora potrò credere
curvo dei
miei miraggi
ciò che
direte con lingue di tufo.
giovedì 2 maggio 2013
Da: "Inconsapevoli viaggi", in "Il venditore di suoni tattili - 2007
AB INITIO
Qui
comincio.
Da questa
radura bianca.
Dal
cominciamento
che tutto
battezza
…e avvia.
Confidando
nell’istinto
saprò
orizzontarmi
con il
favore dei suoni tattili.
Se il
bivio fosse d’imbarazzo
ci
disperderà il vento – hanno detto –
via
dall’incertezza.
*
ALLA
STAZIONE
Eravamo
tutti affaccendati
con la
tavola pitagorica
degli
arrivi e le partenze
– e quello
che per gli uni – arrivando –
era già
memoria
per gli
altri era l’ignoto –
quando da
un altoparlante
una voce
ammonì: – Chi ha rubato
la valigia
di Dio?
*
ASPETTANDO
IL FISCHIO
Sull’ultimo
binario
– quello
più remoto
dove non
si parte per le città capitali
dove ci
sono gli orinatoi
e il
deposito bagagli –
un lungo
treno sostava di partenti
coperti da
poca carne
su quei
vivi disperatamente corpi.
La maggior
parte
bisbigliava
il respiro
nella
compostezza.
Solo
alcuni fumavano la collera
ingiallendosi
le dita.
Chiesi
dove andava
quel
carico di folla. Risposero
che
nessuno sapeva.
Che
partisse – poi –
molti
dubitavano.
Era lì
fermo
quel treno
da sempre.
Aspettando
il fischio.
*
NON HO
MEMORIA DEL FUTURO
Non ho
memoria del futuro.
Mai
ricordo le strade che percorrerò
le
promesse che farò
o le porte
che aprirò rincasando.
In questo
presente senza patria
mi piace a
volte
almanaccare
con il passato.
Presagire
il mistero di quell’opaca lavagna
(quanto
gesso vi si è consumato?).
E come uno
scolaro disattento
inaspettatamente
perdermi
in
un’algebrica immortalità.
*
LE PAROLE
Hanno la
trasparenza
del vetro
– le parole.
E come il
vetro sono fragili
e
taglienti.
Sono
alberi
che
fruttano nelle gelate notturne
– ma una
favilla
può
azzittirle in cenere.
Esiliati
in questa
sala d’aspetto
siamo come
quaderni – bianchi
gli spazi
tra rigo
e rigo.
A
impastare le ali
per la
commedia del volo
ci
occorrono le parole.
A farci
viandanti.
*
ELEGIACA
Febbraio
fu troppo corto
l’anno
duemilaquattro.
Non si
levò ancora giorno
quando
valicasti il segreto
con la
grammatica del
distacco.
A
quell’improvvisa procedura
(che fu
come di partenza)
assistetti
fatto a uomo: inutile
fu cercare
la parola
che
parlasse quella stessa lingua
e per lo
stradone antico
sprofondano
ora i miei passi
nel
baratro della tua assenza.
Nella
notte dell’attesa
leggero ti
sia – padre –
leggerissimo
il sonno.
*
STRALCIO
DA UNA VITA
a Peter Mead – Illinois
Chi è il
mio iscariota?
E quale
sinedrio l’ha stabilito?
Porto la
mia croce (la similitudine
io vi
prego d’assolvere)
in una
gerusalemme remota
e non vedo
accanto il cireneo
e in cima
non m’aspetta un gòlgota.
*
GLI
UCCELLI
Noi non
sappiamo mai dove faremo il nostro nido
perché un
albero non abbiamo di spettanza.
Così
profittiamo
dei rami assolati
per
scaldarci le fragili ossa.
Da quelli
più alti
altrove
ammiriamo le distese di grano.
E quelli
frondosi
adattissimi
sono al riparo
quando la
pioggia batte il suo ritmo.
Migrando
ci
saturiamo nelle distanze.
Definiti
saremo solo in fondo al Tempo
catturati
dalle radici.
*
PROSPETTIVE
Quella
cattedrale – guarda –
con le
guglie quasi a toccare il cielo
e gli
arcangeli ai lati del rosone
con il
Cristo assiso benedicente
e sotto – il
maestoso portale
con le
scene dell’Apocalisse
scolpite
nel bronzo…
Dove?
*
L'OSSERVATORE
Questo annoto
(e la mano
è certa nella traccia):
il pascolo
paziente delle nuvole
la carezza
dell’ombra a una rosa
l’annusare
di un cane la femmina.
Altro non
vedo
– se non
un cantiere di costruende forme
l’udire
indistinto di voci e ferraglia.
Apposto da
tempo incerto
un
cartello avverte: lavori in corso.
*
NEANDERTHAL
L’arbitrio
di Kronos mi consegnò
in un
groviglio di vegetazione
e grida di
bestie che rompevano il silenzio.
Come un demone deforme
m’impaurì il fuoco
m’impaurì il fuoco
malignamente
scaturito dall’alto.
Ebbi il
coraggio di rubarne un poco:
era caldo
e luceva
e lo
custodii
perpetuandone
i tizzoni
a futura
memoria.
Di mezzo
alla notte
fui
attratto dall’odore di femmina
e mi
congiunsi a lei
e mi
piacque
quell’odore
di fieno umido.
Quel
lamento di desideri
ci
piacque.
Ci tenemmo
compagnia fino alla sponda del mattino.
Da quella
promessa fummo uomo e donna.
Compresi
la morte
– sempre
immaginata come
un
prolungatissimo nascondimento –
e imparai
a seppellire i corpi
con fiori
e cibo
perché
potessero profumarsi e cibarsi
dove non
v’è segno.
Una sera
mi venne
di levare lo sguardo in alto
–
silenziosamente.
Sentii in
me farsi tenera l’inquietudine.
Pazientemente
graffiai sulla roccia
le cose
che mi furono belle
e questo
di me che avvenne
prima
delle vostre teologie.
*
GENEALOGIE
INFINITE
Attraversando
il ponte sul fiume che scorre
malespressamente
conversiamo la nostra verità.
Come
pedoni su una scacchiera
due case
muoviamo alla prima mossa
poi di
casa in casa è il passo
per
l’inutile scacco alla regina nera.
L’inverno
stampa sulla pelle il suo elzevìro.
Dalla
memoria riemerge il primordiale abbraccio
–
l’affanno della prima copula –
e a
riscaldarci ci chiamiamo
con l’animale respiro.
Ecco come
sboccia la primavera.
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