sabato 15 marzo 2014

Tempo fa, un mio carissimo amico, che segue (bontà sua!) con attenzione le sorti del mio lavoro poetico, mi fece notare come sovente nelle mie poesie ricorre il sostantivo passo, con la sua variante plurale passi.
L’osservazione è più che attenta. La mia poesia è preminentemente poesia sull’uomo e caratteristica primaria di questi, come di ogni altro essere vivente libero, è il movimento. Ora, il movimento dell’uomo, ovvero il suo spostarsi nel tempo e nello spazio, si chiama cammino, di cui il passo ne è l’unità di misura.
Alludendo al passo (o ai passi), quindi, altro non faccio che alludere all’esperienza umana attraverso la metafora di quell’unità semplice, quanto faticosa, che sta al principio di ogni “traguardo”.


sabato 8 marzo 2014

LA RAGAZZA DI BRAŞOV

I

Il colore della primavera è indefinibile
quello dell’anima tinto alla partenza
è bianco come la pagina da scrivere.

La Storia (così è chiamata la vita che attraversa il tempo)
ha chiuso la tua infanzia in un corpo acerbo di donna
e vestita delle notti d’oriente t’ha condotto a questa riva
leggera come un pensiero.

I tuoi vent’anni te li sei portati dietro tutti
neanche uno a lasciarlo
su quella costellazione d’insonnie.

II

Come una porta che si apre all’oscurità
comparisti alla mia arroganza
passando per l’autunno
e con i tuoi suoni inesatti
mi domandasti una mattina: – Poeta
conosci tu Eminescu… Bacovia… Lucìan Blaga?

Scuotendo il capo
mi fu nemica la mia risposta. Così

a narrare cominciasti a me di Luceafărul…
Plumb… Meşterul Manole
e via via d’altri incantamenti
che mi presero a volare sui tetti degli abissi
sulle alture delle cantilene
fino alle altissime vette del desiderio.

III

Nella gelida stanza del disinganno
come la cenere per il fuoco
veglio la mia memoria
facendo l’appello degli affanni.

Il mio silenzio urla inesaudito. All’intorno tutto
tutto è quieto.

Tu ancora poco e molto da sfogliare
fischietti la vita.

Mi sono accontentato di sentirti.




da: Vocianti - 2010

domenica 2 marzo 2014

COMMEDIA

mescolandomi alla gente quante volte
con una cartella vuota di cartastraccia
una destinazione fingo di avere.
un incontro. l’obbligo di un orario.

improvviso l’itinerario spesso trepidante
come se importante fosse arrivare a tempo
là dove non so di andare.

e come molto somiglia questo mio rituale
a quello di chiunque va camminando:
così ad un mio smarrimento
un uomo m’indicò la via
puntando frettolosamente l’indice.

lo ringraziai – com’è di prassi –
“di nulla!” replicò con un lieve sorriso.
anch’io lo congedai con un lieve sorriso
prendendo la direzione opposta.



© Giovanni Abbate - Inedito