mercoledì 29 maggio 2013

STRALCIO DA UNA VITA – III

Sono stanco di continuare a dire.

Vorrei che le mie mani s’impegnassero
in un lavoro di mani – fabbricando.

Al mercato delle frodi
pinze e filo di ferro andrò cercando
e una manciata di lunghi chiodi.

Cosa realizzerò con le mie mani
tuttavia lo ignoro.

Ma osservando intorno
antiche e rugginose mancanze
un’ipotesi in me s’affiora: ricambi…
per le umane doglianze.


(da: Inconsapevoli viaggi; in Il venditore di suoni tattili - 2007)




sabato 4 maggio 2013

Da: "Vocianti" - 2010

COLONÌA METRÒM*
Colonìa Metròm è una virgola
una breve pausa
nel discorso degli eventi
per dire che i sette arcangeli
sono passati di qua senza fermarsi
per troppa fretta di procedere.
È una zattera ancorata al vento
con le speranze di Mitriţă e Viorica
e altri seguenti
annotate con bella grafia
nel registro delle presenze.
Su quel margine d’argilla
ho portato i miei passi
in un tardo meriggio d’estate: furtivamente
ho cercato con gli occhi
la bambina con la chiave appesa al collo.
L’ho cercata dietro gli angoli rattoppati
tra i ciuffi dell’erba magra
nelle aiuole abbandonate
ma la bambina con la chiave appesa al collo
non l’ho veduta.
Neppure nella penombra delle scale
l’ho scorsa
che ha salito certamente
e sceso milioni di volte
nell’intreccio dei giorni
come un ragno costruendo la sua tela.
Nessuno neppure a guardare lo spicchio di cielo
sognandosi donna.
È andata via – dicono – probabilmente
come tanti di buon mattino
perché la notte qui
è più nera che altrove
e quasi son partiti tutti
cercando candele ovunque.
Luminosissime candele – dicono –
da piantare sulle mute stelle.

Braşov, 19 agosto 2009

*Colonìa Metròm è un sobborgo popolare nella zona industriale di Braşov.
Oggi, la gran parte di quelle fabbriche sono ormai chiuse da tempo.


*

PIAŢA SFATULUI
Non importano le coordinate
piaţa Sfatului è tra la terra e il cielo
sospesa a un filo d’irrealtà
e quasi t’aspetti che parli la tua lingua.
Il piombo dell’esistenza
qui diviene materia nobile – plausibile.
Anche l’anima si evolve nella parola
rara della felicità.

Braşov, 24 agosto 2009


*

L'OCEANO CHE E' IN TE
Con il mio cuore navigante
l’oceano che è in te attraverso
ignaro dell’abisso.
Quando la burrasca costringe all’àncora
al fischio del treno non ho mai ceduto.
È questo che chiamano amore?


*

IL MONDO DI TE NON SA
Il  mondo di te non sa – anima mia –
che del mondo sei
non sa del tuo nome la grafia
il colore dei capelli
né la direzione del tuo cammino
ma se dimenticassi
anche uno solo dei tuoi respiri
fenderebbe la sua corteccia
una profonda
sanguinante ferita.
15 febbraio 2010


*

VOCIANTI
A questo gran vociare la mercanzia
a questo incantamento dell’ascoltatore
con le parole assoldate come puttane
non altra misura che il silenzio…
guardarci negli occhi
ove s’annidano certe le promesse
e la testimonianza come di marmo scritta
dove la notte è notte
la luce tu vedi che è luce
e la lingua tace come sconfitta
chiusa nella gabbia dei denti
e quello che accade senti
come d’ombre una dimenticanza.


*

CI VOLTIAMO A UNA VOCE
            Ci voltiamo a una voce
o ad altro che le somigli
come il sibilo del vento
le note di un violino
le grida di una gabbiana
alla luce dell’alba.
            Ci voltiamo a una voce
per poterci fermare
esaminare la posizione
misurare la nostalgia
di quell’ultima piana
col metronomo del cuore.
            Ci voltiamo a una voce
per non sentirci soli
incrociare lo sguardo
distratto del passante
convincendoci la mente
che quella è la strada.
            Ci voltiamo a una voce
lo stesso senza udirla
(o estraneo a noi quel timbro)
quel gesto come di natura
sperandoci alle spalle
l’incitamento di Dio.


*

IL COREUTA DI ARGO
La scena non è più la stessa.
Un tempo fummo folla comunità
cantori necessari di quella spaziosità concessa.
E mai mancava la sottolineatura
perché tutti capissero
quel che la vicenda narrasse
– fosse incesto tradimento o sepoltura.
Vedili ora: un manipolo attrezzati
d’improvvisati recitanti – fondali meccanizzati
microfoni altoparlanti –
sullo scenico palco smisuratamente
persi
nello spazio di quel perimetro. Li vedi
come cercare nel vuoto
le battute da bocca a bocca
saltellando come rospi di vetro.
Più non partecipiamo alla rappresentazione.
Non più preghiera. Appartenenza.
Non più il nostro intercalare
s’ode costante
quell’intermittenza nel dialogo
rassicurante
quell’intromissione…
breve
della coscienza.


*

L'ANIMALE
Vagava fra ciuffi d’erba
con il sole rovente
che gli puntava addosso.
A una pozza si fermò.
Le zampe tremanti
per il corpo grasso.
Un fruscio
in quell’istante lo ammonì.
Ristette all’ascolto
(chi poteva sapere
chi conosceva – dunque –
l’accadimento?)
scisso tra l’insaziato bere
e la mossa esangue
dell’allontanamento.


*

COME LA PIETRA
Come la pietra…
compatta
immutabile
fedele dov’è posta
singolare a se stessa
non generante
levigata di malinconie
odio
inutili promesse
che dissepolta
è rivelatrice di passi
humus
di fossili ronzii testimonianza
come la pietra…
non manco di provare
la mia esistenza.


*

DALL'ESILIO
Ci stiamo abituando a questo luogo.
Per nulla l’oscillare ci stupisce
dalla luce alla notte come il mare
né la malastagione né lo strazio della terra
per lo sbadiglio delle sue viscere.
Ci stiamo abituando a noi stessi
alle nostre veglie ai nostri sonni
al biasimato chiacchiericcio
al dolore di testa come alla zoppìa.
Né il muro ormai più c’infastidisce
che dell’orizzonte sbarra il cammino
e da questa corte stipata di sguardi
vedere al di là proibisce.


*

AI SAPIENTI
Spiacente – signori –
non credo ai luccicanti proclami
al linguaggio sintattico
al pensiero colto
di chi non ha mai bestemmiato.
Smettete di dosso le vesti bianche
le mani adunche a scavare la tana
gli occhi lacrimosi dalla polvere.
Innominato sorga il vostro giudizio
dall’incanto primitivo
e di bocca emettete suoni
articolando fonemi viscerali:
barriti…latrati…acuti cinguettii.
Solo allora potrò credere
curvo dei miei miraggi
ciò che direte con lingue di tufo.

giovedì 2 maggio 2013

Da: "Inconsapevoli viaggi", in "Il venditore di suoni tattili - 2007


AB INITIO
                                            Qui comincio.
Da questa radura bianca.
Dal cominciamento
che tutto battezza
                                            …e avvia.
Confidando nell’istinto
saprò orizzontarmi
con il favore dei suoni tattili.
Se il bivio fosse d’imbarazzo
ci disperderà il vento – hanno detto –
via dall’incertezza.



*

ALLA STAZIONE
Eravamo tutti affaccendati
con la tavola pitagorica
degli arrivi e le partenze
– e quello che per gli uni – arrivando –
era già memoria
per gli altri era l’ignoto –
quando da un altoparlante
una voce ammonì: – Chi ha rubato
la valigia di Dio?


*

ASPETTANDO IL FISCHIO
Sull’ultimo binario
– quello più remoto
dove non si parte per le città capitali
dove ci sono gli orinatoi
e il deposito bagagli –
un lungo treno sostava di partenti
coperti da poca carne
su quei vivi disperatamente corpi.
La maggior parte
bisbigliava il respiro
nella compostezza.
Solo alcuni fumavano la collera
ingiallendosi le dita.
Chiesi dove andava
quel carico di folla. Risposero
che nessuno sapeva.
Che partisse – poi –
molti dubitavano.
Era lì fermo
quel treno da sempre.
Aspettando il fis​chio.


*

NON HO MEMORIA DEL FUTURO
Non ho memoria del futuro.
Mai ricordo le strade che percorrerò
le promesse che farò
o le porte che aprirò rincasando.
In questo presente senza patria
mi piace a volte
almanaccare con il passato.
Presagire il mistero di quell’opaca lavagna
(quanto gesso vi si è consumato?).
E come uno scolaro disattento
inaspettatamente perdermi
in un’algebrica immortalità.


*

LE PAROLE
Hanno la trasparenza
del vetro – le parole.
E come il vetro sono fragili
e taglienti.
Sono alberi
che fruttano nelle gelate notturne
– ma una favilla
può azzittirle in cenere.
                                            Esiliati
in questa sala d’aspetto
siamo come quaderni – bianchi
gli spazi tra rigo
e rigo.
A impastare le ali
per la commedia del volo
ci occorrono le parole.
A farci viandanti.


*

ELEGIACA
Febbraio fu troppo corto
l’anno duemilaquattro.
Non si levò ancora giorno
quando valicasti il segreto
con la grammatica del                 distacco.
A quell’improvvisa procedura
(che fu come di partenza)
assistetti fatto a uomo: inutile
fu cercare la parola
che parlasse quella stessa lingua
e per lo stradone antico
sprofondano ora i miei passi
nel baratro della tua assenza.
Nella notte dell’attesa
leggero ti sia – padre –
leggerissimo il sonno.


*

STRALCIO DA UNA VITA

                                                    a Peter Mead – Illinois​

Chi è il mio iscariota?
E quale sinedrio l’ha stabilito?
Porto la mia croce (la similitudine
io vi prego d’assolvere)
in una gerusalemme remota
e non vedo accanto il cireneo
e in cima non m’aspetta un gòlgota.


*

GLI UCCELLI
Noi non sappiamo mai dove faremo il nostro nido
perché un albero non abbiamo di spettanza.
                                              
                                                               Così
profittiamo dei rami assolati
per scaldarci le fragili ossa.
Da quelli più alti
altrove ammiriamo le distese di grano.
E quelli frondosi
adattissimi sono al riparo
quando la pioggia batte il suo ritmo.
                                                               Migrando
ci saturiamo nelle distanze.
Definiti saremo solo in fondo al Tempo
catturati dalle radici.


*

PROSPETTIVE
Quella cattedrale – guarda –
con le guglie quasi a toccare il cielo
e gli arcangeli ai lati del rosone
con il Cristo assiso benedicente
e sotto  il maestoso portale
con le scene dell’Apocalisse
scolpite nel bronzo…
Dove?


*

L'OSSERVATORE
                                           Questo annoto
(e la mano è certa nella traccia):
il pascolo paziente delle nuvole
la carezza dell’ombra a una rosa
l’annusare di un cane la femmina.
                                 
                                            Altro non vedo
– se non un cantiere di costruende forme
l’udire indistinto di voci e ferraglia.
Apposto da tempo incerto
un cartello avverte: lavori in corso.


*

NEANDERTHAL
L’arbitrio di Kronos mi consegnò
in un groviglio di vegetazione
e grida di bestie che rompevano il silenzio.
Come un demone deforme
m’impaurì il fuoco
malignamente scaturito dall’alto.
Ebbi il coraggio di rubarne un poco:
era caldo e luceva
e lo custodii
perpetuandone i tizzoni
a futura memoria.
Di mezzo alla notte
fui attratto dall’odore di femmina
e mi congiunsi a lei
e mi piacque
quell’odore di fieno umido.
Quel lamento di desideri
ci piacque.
Ci tenemmo compagnia fino alla sponda del mattino.
Da quella promessa fummo uomo e donna.
Compresi la morte
– sempre immaginata come
un prolungatissimo nascondimento –
e imparai a seppellire i corpi
con fiori e cibo
perché potessero profumarsi e cibarsi
dove non v’è segno.
Una sera
mi venne di levare lo sguardo in alto
– silenziosamente.
Sentii in me farsi tenera l’inquietudine.
Pazientemente graffiai sulla roccia
le cose che mi furono belle
e questo di me che avvenne
prima delle vostre teologie.


*

GENEALOGIE INFINITE
Attraversando il ponte sul fiume che scorre
malespressamente conversiamo la nostra verità.
                                    
Come pedoni su una scacchiera
due case muoviamo alla prima mossa
poi di casa in casa è il passo
per l’inutile scacco alla regina nera.
L’inverno stampa sulla pelle il suo elzevìro.
Dalla memoria riemerge il primordiale abbraccio
– l’affanno della prima copula –
e a riscaldarci ci chiamiamo
                                                        con l’animale respiro.
Ecco come sboccia la primavera.