AB INITIO
Qui
comincio.
Da questa
radura bianca.
Dal
cominciamento
che tutto
battezza
…e avvia.
Confidando
nell’istinto
saprò
orizzontarmi
con il
favore dei suoni tattili.
Se il
bivio fosse d’imbarazzo
ci
disperderà il vento – hanno detto –
via
dall’incertezza.
*
ALLA
STAZIONE
Eravamo
tutti affaccendati
con la
tavola pitagorica
degli
arrivi e le partenze
– e quello
che per gli uni – arrivando –
era già
memoria
per gli
altri era l’ignoto –
quando da
un altoparlante
una voce
ammonì: – Chi ha rubato
la valigia
di Dio?
*
ASPETTANDO
IL FISCHIO
Sull’ultimo
binario
– quello
più remoto
dove non
si parte per le città capitali
dove ci
sono gli orinatoi
e il
deposito bagagli –
un lungo
treno sostava di partenti
coperti da
poca carne
su quei
vivi disperatamente corpi.
La maggior
parte
bisbigliava
il respiro
nella
compostezza.
Solo
alcuni fumavano la collera
ingiallendosi
le dita.
Chiesi
dove andava
quel
carico di folla. Risposero
che
nessuno sapeva.
Che
partisse – poi –
molti
dubitavano.
Era lì
fermo
quel treno
da sempre.
Aspettando
il fischio.
*
NON HO
MEMORIA DEL FUTURO
Non ho
memoria del futuro.
Mai
ricordo le strade che percorrerò
le
promesse che farò
o le porte
che aprirò rincasando.
In questo
presente senza patria
mi piace a
volte
almanaccare
con il passato.
Presagire
il mistero di quell’opaca lavagna
(quanto
gesso vi si è consumato?).
E come uno
scolaro disattento
inaspettatamente
perdermi
in
un’algebrica immortalità.
*
LE PAROLE
Hanno la
trasparenza
del vetro
– le parole.
E come il
vetro sono fragili
e
taglienti.
Sono
alberi
che
fruttano nelle gelate notturne
– ma una
favilla
può
azzittirle in cenere.
Esiliati
in questa
sala d’aspetto
siamo come
quaderni – bianchi
gli spazi
tra rigo
e rigo.
A
impastare le ali
per la
commedia del volo
ci
occorrono le parole.
A farci
viandanti.
*
ELEGIACA
Febbraio
fu troppo corto
l’anno
duemilaquattro.
Non si
levò ancora giorno
quando
valicasti il segreto
con la
grammatica del
distacco.
A
quell’improvvisa procedura
(che fu
come di partenza)
assistetti
fatto a uomo: inutile
fu cercare
la parola
che
parlasse quella stessa lingua
e per lo
stradone antico
sprofondano
ora i miei passi
nel
baratro della tua assenza.
Nella
notte dell’attesa
leggero ti
sia – padre –
leggerissimo
il sonno.
*
STRALCIO
DA UNA VITA
a Peter Mead – Illinois
Chi è il
mio iscariota?
E quale
sinedrio l’ha stabilito?
Porto la
mia croce (la similitudine
io vi
prego d’assolvere)
in una
gerusalemme remota
e non vedo
accanto il cireneo
e in cima
non m’aspetta un gòlgota.
*
GLI
UCCELLI
Noi non
sappiamo mai dove faremo il nostro nido
perché un
albero non abbiamo di spettanza.
Così
profittiamo
dei rami assolati
per
scaldarci le fragili ossa.
Da quelli
più alti
altrove
ammiriamo le distese di grano.
E quelli
frondosi
adattissimi
sono al riparo
quando la
pioggia batte il suo ritmo.
Migrando
ci
saturiamo nelle distanze.
Definiti
saremo solo in fondo al Tempo
catturati
dalle radici.
*
PROSPETTIVE
Quella
cattedrale – guarda –
con le
guglie quasi a toccare il cielo
e gli
arcangeli ai lati del rosone
con il
Cristo assiso benedicente
e sotto – il
maestoso portale
con le
scene dell’Apocalisse
scolpite
nel bronzo…
Dove?
*
L'OSSERVATORE
Questo annoto
(e la mano
è certa nella traccia):
il pascolo
paziente delle nuvole
la carezza
dell’ombra a una rosa
l’annusare
di un cane la femmina.
Altro non
vedo
– se non
un cantiere di costruende forme
l’udire
indistinto di voci e ferraglia.
Apposto da
tempo incerto
un
cartello avverte: lavori in corso.
*
NEANDERTHAL
L’arbitrio
di Kronos mi consegnò
in un
groviglio di vegetazione
e grida di
bestie che rompevano il silenzio.
Come un demone deforme
m’impaurì il fuoco
m’impaurì il fuoco
malignamente
scaturito dall’alto.
Ebbi il
coraggio di rubarne un poco:
era caldo
e luceva
e lo
custodii
perpetuandone
i tizzoni
a futura
memoria.
Di mezzo
alla notte
fui
attratto dall’odore di femmina
e mi
congiunsi a lei
e mi
piacque
quell’odore
di fieno umido.
Quel
lamento di desideri
ci
piacque.
Ci tenemmo
compagnia fino alla sponda del mattino.
Da quella
promessa fummo uomo e donna.
Compresi
la morte
– sempre
immaginata come
un
prolungatissimo nascondimento –
e imparai
a seppellire i corpi
con fiori
e cibo
perché
potessero profumarsi e cibarsi
dove non
v’è segno.
Una sera
mi venne
di levare lo sguardo in alto
–
silenziosamente.
Sentii in
me farsi tenera l’inquietudine.
Pazientemente
graffiai sulla roccia
le cose
che mi furono belle
e questo
di me che avvenne
prima
delle vostre teologie.
*
GENEALOGIE
INFINITE
Attraversando
il ponte sul fiume che scorre
malespressamente
conversiamo la nostra verità.
Come
pedoni su una scacchiera
due case
muoviamo alla prima mossa
poi di
casa in casa è il passo
per
l’inutile scacco alla regina nera.
L’inverno
stampa sulla pelle il suo elzevìro.
Dalla
memoria riemerge il primordiale abbraccio
–
l’affanno della prima copula –
e a
riscaldarci ci chiamiamo
con l’animale respiro.
Ecco come
sboccia la primavera.
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